Manga sportivi - confronto con la realtà attuale

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    Post che non centra quasi nulla ma che qualcuno potrebbe trovare attinente, o anche solo un poco interessante. Non sapevo dove scriverlo, lo metto qui.

    Alla fine degli anni '70, in Giappone, esce il manga Attack No 1, da noi noto come Mimì e le ragazze della pallavolo grazie alla famosa serie tv. La trama la conoscete tutti, quella di una ragazza che per arrivare al successo deve affrontare ostacoli, avversità, privazioni, ma anche abusi e umiliazioni. Non si darà mai per vinta e alla fine coronerà il suo sogno di vincere il campionato mondiale di pallavolo.

    Quello che non tutti sanno è che l'opera è tratta da una vicenda reale. Nel 1953 un imprenditore giapponese si mette in testa di creare una squadra di pallavolo, e potendo contare su uno stuolo di migliaia di dipendenti, cerca tra di loro le più adatte per formare la squadra. Il compito dell'allenatore è affidato ad un veterano di guerra, che per i suoi metodi inflessibili verrà soprannominato Il Demone.

    Molte rinunciano, altre non ce la fanno, gli allenamenti sono durissimi e gli abusi e le umiliazioni sono all'ordine del giorno. Ma l'enorme bacino di ragazze, dipendenti dell'azienda, fa sì che alla fine della naturale scrematura rimangano solo le più tenaci. Talmente forti e pronte a tutto che alla fine vincono prima due mondiali, poi le Olimpiadi.

    Sempre nello stesso periodo, escono altre opere con le stesse tematiche: abnegazione, grandi sacrifici, parecchie mazzate, tutto finalizzato a fortificare le giovani promesse per arrivare al risultato finale. Tra le più famose, le opere di Ikki Kajiwara, autore di Arrivano i Superboys, L'Uomo Tigre, Tommy la stella dei Giants, Rocky Joe. Chi non è più tanto giovane si ricorderà l'enorme quantità di mazzate, miseria ed abusi i protagonisti di queste opere si trovano ad affrontare.

    Tutto questo per arrivare agli anni '80, quando a metà del decennio esce Attacker Yu!
    , meglio conosciuto come Mila e Shiro

    Sono certo che molti non abbiano capito la tematica sottointesa di questo cartone animato.

    Mila (Yu Azuki) è una giovane talentuosa, ma è anche una testa parecchio calda. Anni di pallavolo e disciplina non la cambieranno minimamente.

    Si ritroverà ad essere allenata da Daimon, spietato allenatore dai metodi violenti. Daimon è la trasposizione animata del Demone poco sopra. Nonostante l'aspetto diametralmente opposto, ha il suo equivalente in Hongo nel cartone Mimì, stessi metodi spietati. Sia Daimon che Hongo sono personaggi figli del dopoguerra, dei valori di abnegazione e sacrificio che essa ha portato. Credono di essere nel giusto, ma possono fare male. Le ragazze non hanno scelta che seguirli per non deluderli.
    Mila invece non si piega, e non si piegherà mai a Daimon, anzi risponde a tono. In una puntata Mila si rompe un braccio, scatenando la furia di Daimon che tanto per cambiare la prende a mazzate. Mila si allenerà con l'altro braccio per non darla vinta all'allenatore, diventando così ambidestra ed imprevedibile negli attacchi. Daimon rappresenta il Giappone passato, Mila il presente (e futuro), sono su due piani diversi, per le nuove generazioni certe atteggiamenti sono inaccettabili. (nota: Daimon nel manga sparisce, nell'anima rimane una presenza costante).

    Nami è l'equivalente di Mimì ma anche di tutte le sue compagne. Remissiva, piena di abnegazione, con un particolare talento a prendere schiaffi in faccia. Odia inizialmente Mila perché è lo specchio di cosa non va nella sua vita, sia sportivamente sia in amore, oltre che prendere molte più mazzate di lei. Seguirà Daimon nelle Unicorn colta dalla sindrome dell'aguzzino-vittima. Verso la fine, Nami spiega a Mila come i metodi duri di Daimon alla fine le abbiano rese quelle che sono, ammettendo velatamente che dovrebbero pure ringraziarlo. Mila giustamente la manda a quel paese e se ne va sbattendo la porta.

    Poi ci sono le questioni sentimentali.
    Da una parte Shiro, che a dire il vero nel manga è poco rilevante mentre il cartone lo vede riapparire ogni tanto. Shiro ha come altri un suo equivalente in Mimiì, e come il suo equivalente vuole lasciare la ragazza pensando che questo possa influire sulle sue prestazioni. Ma Mila è di coccio, e anzi non perde occasione per fare l'allupata;
    Dall'altra la madre Tajima, che ha abbandonato la famiglia, quindi l'amore, per lo sport. Mila, scoperto che non è morta, la odierà per un po'.
    A lei non frega niente, i sacrifici e l'amore possono coesistere.

    Infine Mitamura, che rappresenta in nuovo corso. Mitamura è pure severo e inflessibile, ma mai cattivo. Tratta le atlete con rispetto, e le atlete lo seguono per rispetto e non per paura. Nel finale della serie TV, la "vecchia guardia" tenterà di farlo fuori in quanto personaggio scomodo, ma avrà la sua rivincita.
     
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    Unico appunto: Attack no. 1 è della fine degli anni '60 - diretta risposta alle glorie della pallavolo nipponica di allora, oltre che primo spokon di autrice donna a diventare anime.

    Sull'influenza della cultura del bushido nei confronti degli spokon ci sarebbe da scrivere un'enciclopedia. Occorre anche tenere conto che soprattutto le produzioni più antiche erano specchio di una realtà sociale a caccia di rivalsa - tanto che in quasi tutti i manga e gli anime sportivi degli anni '60 si trova spesso diretto riferimento all'urbanizzazione delle campagne, allo sport come ascensore sociale (cfr. il personaggio di Samon/Simon in Tommy e la Stella dei Giants) etc.

    Diciamo che il cambio di mentalità dagli anni '80 in avanti sembra essere regolarmente (anche se relativamente) registrato nella fiction giapponese. In Slam Dunk situazioni come quelle di Kozue Ayuhara sarebbero impensabili.
     
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    Ho spostato il post nella sezione Manga, e lo sposto qui per un motivo.

    La fiction che ricalca la realtà (e la romanza) non è certo un inneggio alle pratiche di abuso.
    Ci sono film su serial killer e stupratori, ma nessuno vuole incoraggiare gli altri a diventare assassini e stupratori, nè ad esserne vittime restando in silenzio.

    Hai fatto bene a menzionare gli anni 50. In quegli anni i bambini venivano normalmente picchiati a cinghiate dal padre e messi in ginocchio sul sale a scuola, e se stavi dalle suore ancora peggio, ti prendevano a schiaffi (o ti davano giù con la scopa).

    Il punto è che sono passati 70 anni ed esistono, comprovati, metodi educativi per ottenere risultati uguali e migliori senza traumatizzare nè il campione nè i "più deboli" che vengono scremati.


    Ad ogni modo OGNI anime/manga giapponese a tema sportivo è un inno al sacrificio (pensa a Slam Dunk dove il capitano preferisce spaccarsi la gamba anziché rinunciare alla finale SCOLASTICA delle supriori, manco fosse alle olimpiadi), idem Capitan Tsubasa (Holly e Benji), dove si gioca con l'infortunio pur di vincere una partitella.

    Nota comunque che sono sempre sport di squadra. Questo perché è ben radicato nei giapponesi l'ideale di dover SACRIFICARE L'INDIVIDUO PER IL GRUPPO.
    Quindi in realtà il manga/anime non ti sta dicendo che devi subire mazzate per raggiungere il tuo sogno e solo il più forte ce la fa, quel manga/anime giapponese tenta di comunicare a tutti gli adolescenti che è giusto sacrificare il loro corpo/mente/spirito per un bene e un fine comune. Che nella vita vera non è pallavolo ma spesso il gruppo di lavoro o la famiglia.
    Il sentimento di sacrificio della fiction deve educare il lettore a desiderare di fare altrettanto per il suo gruppo sociale.

    Non per niente esistono manga/anime per ragazze in cui Tizio e Caia non si mettono assieme per non far dispiacere all'amica che è a sua volta innamorata di lui.

    Personalmente non credo che la narrazione giapponese possa romanzare la situazione italiana, poiché noi non abbiamo da nessuna parte la logica del sacrificio individuale per il bene del gruppo, piuttosto (come nella ginnastica ritmica) adulti disposti a tutto pur di raggiungere un obiettivo che non esitano a sacrificare soggetti deboli come gli adolescenti sfruttando i loro sogni, oltre al tema dell'omertà nei sistemi di potere, che tendono ad insabbiare tutto.

    Notare per esempio come tutte le dichiarazioni delle ginnaste italiane parlino al singolare "amavo la ritmica, facevo tutto per la ginnastica, era il mio sogno" e nessuna dica che lo faceva per genitori/compagne.

    In sostanza, Attack No 1 è una storia "educativa" rispetto a quella della ritmica italiana, che riempie solo la pancia di individui già potenti.
     
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2 replies since 5/11/2022, 20:23   1522 views
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