BASTA Anna (ITA)

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    Anna Basta, campionessa delle Farfalle Azzurre: «La mia dura vita da atleta»
    A soli 17 anni ha vinto la medaglia d’oro a Sofia. Ma vive 11 mesi l'anno in albergo e le sue giornate sono molto diverse da quelle delle sue coetanee. L'intervista.




    19.09.2018 di Giacomo Iacomino
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    Pasta, amore e ginnastica ritmica. La felicità, per Anna Basta, è tutta qui. Datele un piatto di tortellini, l’affetto della famiglia e una palla: non esiste niente di migliore per l’atleta più giovane delle Farfalle Azzurre che ai Mondiali di Sofia, in Bulgaria, hanno vinto la medaglia d’oro. Anche se «con la pasta non possiamo esagerare. Dobbiamo tenere sotto controllo il nostro peso, e io sono bolognese… Voi capite che la tentazione è forte», racconta Anna, 18 anni il prossimo gennaio, a LetteraDonna. L’amore per il papà, la madre e la sorella non ha confini: «A mia mamma racconto tutto, siamo migliori amiche. Io e mio padre invece abbiamo lo stesso carattere: basta uno sguardo e ci capiamo al volo mentre Rebecca è il mio portafortuna personale durante le gare. Ma il tempo per un fidanzato, al momento, non c’è proprio». Infine, la palla. Assieme alle funi, è l’attrezzo con cui Anna e le altre hanno stregato il pubblico bulgaro durante l’esibizione che ha regalato la medaglia d’oro alla squadra, una rivincita perché un anno fa a Pesaro, nonostante un’esecuzione perfetta con gli stessi attrezzi, le azzurre furono giudicate con un voto inferiore alle aspettative che negò loro il gradino più alto del podio: «Però il mio rapporto con la palla è di odio e amore».

    Come mai?
    A livello individuale non siamo propriamente «amiche». Rimbalza, rotola via, è difficile da maneggiare. Ho sempre un po’ di paura nel fare le cose complicate. In squadra però è tutto il contrario. Non mi spaventa. Mi sento come protetta dalle mie compagne.

    A proposito, loro ora sono in Madagascar. Tu? Niente vacanze?
    Motivi familiari. Mia nonna è morta da poco. Ho deciso di restare con la famiglia a Bologna. Va bene così anche se le ragazze mi faranno morire di invidia coi loro selfie. Amo il mare, purtroppo quest’anno temo che non riuscirò a vederlo.

    Avete vinto con Eye of the Tiger. Chi ha scelto la canzone?
    L’input è arrivato dal capitano, Alessia Maurelli. Stavamo ascoltando un disco in automobile senza troppa attenzione. Lei ci ha richiamato all’ordine: «Ragazze, questa canzone fa al caso nostro», ha detto. L’abbiamo riascoltata trovandoci tutte d’accordo e abbiamo convinto anche Emanuela Maccarani, la nostra allenatrice. Era perfetta perché contiene anche una storia: gli occhi della tigre raccontano quella che doveva essere una rivincita dopo la delusione dell’anno scorso. Devo dire che ce l’abbiamo fatta alla grande.

    Come si prepara un esercizio? Chi decide, per esempio, quando e come un’atleta lancia la palla?
    Si lavora di squadra. Lo spunto parte dall’allenatrice, che ci fa provare qualche lancio iniziale. Poi solitamente ci dice: «Ragazze, cosa vi viene da fare adesso? Buttatevi, sperimentate». A quel punto studiamo le varie riprese e le rotazioni che seguono quel tipo di lancio. Proviamo e inventiamo prendendo spunto anche da esercizi vecchi, cercando di rendere l’esercizio il più originale possibile.

    Qual è il momento più difficile?
    Rimediare a un errore. Restare lucide e concentrate per non commetterne un altro durante l’esercizio. Occorre una gigantesca dose di determinazione.

    «Anna Basta è la più giovane, ma determinata come poche», disse un anno fa il tuo capitano, Alessia Maurelli.
    Vero. Se ho in testa un obiettivo può anche crollarmi il mondo addosso, ma riesco comunque a trovare qualcosa di positivo, un fuoco che mi fa andare avanti. Mi convinco che è quello che voglio fare e che devo fare.

    Sei così anche a scuola?
    Dopo due anni al liceo scientifico ho cambiato e sono passata al liceo delle scienze umane. Faccio lezioni serali assieme a insegnanti privati e ammetto che all’inizio sembrava una pacchia, con due ore di lezioni al giorno. Poi però ho capito che in quel lasso di tempo dobbiamo concentrare il programma che in un normale giorno di scuola viene spalmato su cinque ore. E in classe siamo quattro, questo vuol dire interrogazioni quasi quotidiane!

    Ti manca la vita da studentessa "normale"?
    A volte sì, quando le mie ex compagne mi girano dei filmati o mi raccontano qualche episodio divertente. Ma alla fine la mia era l’unica scelta possibile. La ginnastica può dare grandi soddisfazioni, il prezzo da pagare è proprio la rinuncia a una vita normale. Viviamo in albergo (a Desio, ndr) 11 mesi all’anno.

    La tua prima volta in pedana?
    A quattro anni e mezzo. I miei genitori mi avevano inizialmente iscritta a nuoto ma… lo odiavo. Mi fingevo malata per non andare.

    Affondavi?
    Qualcosa del genere. Poi un giorno c'era un'inserzione sul giornale: lezione gratuita con ginnaste professioniste. Mamma mi disse: «Vuoi provare?». Sentii una vibrazione positiva. Risposi di sì.

    Come andò?
    Fui estasiata dall’esibizione con il nastro di Ilaria Maggiore: «Voglio fare questo», pensai. Ora lei è una mia cara amica e si imbarazza sempre un po’ quando ricordiamo quel giorno, però è anche felice di essere riuscita a trasmettermi questa passione.

    La prima medaglia?
    Una medaglia di partecipazione a una gara in cui in realtà arrivai quarta. Ero ancora piccola. Dovevamo usare tutti gli attrezzi per 10 secondi su una striscia di pedana. Una volta finito rimettevi tutto a posto e finiva lì. Ricordo che feci cadere una clavetta…

    Torniamo a oggi. La tua giornata tipo?
    Sveglia alle 7 e mezza. Cereali, caffè, pane e marmellata. Palestra dalle 8 alle 13.30. Pranzo e ritorno in hotel per una mezz’oretta. Alle tre di nuovo allenamenti fino alle 17.30. Alle 18 iniziano le lezioni. Cena alle 20.30. Studio quel che c’è da studiare e vado a letto.

    Tempo per un fidanzato, pochino.
    Direi proprio zero. Anche perché è difficile per noi incontrare gente nuova. Però il sabato sera ci lasciamo un po’ andare avendo la domenica libera, magari vedo qualche amica.

    Magari una pizza.
    La adoro, ma più di una volta al mese è difficile.

    Tempo per qualche serie tivù, o magari un libro?
    Entrambi! L’ultima che ho visto è la Casa di Carta. Stupenda. Novecento è il mio libro preferito, il film La Leggenda del Pianista Sull’Oceano mi ha emozionato molto ma adoro anche Ogni Maledetta Domenica, in particolare il discorso di Al Pacino. Lo ascolto spesso prima di ogni gara. Mi dà la carica giusta.

    Quattro minuti di discorso. Lo sai a memoria?
    «Dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che vedrete qualcuno che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento, voi farete lo stesso per lui».

    Ok, lo sai. Prossimo obiettivo?
    Tokyo 2020. Ma prima ci sono gli Europei di metà giugno a Minsk, poi i Mondiali a Baku. Riprenderemo ad allenarci a ottobre.

    Ultima domanda: che idea ti sei fatta delle molestie nello sport? A gennaio un dottore americano è stato condannato: 160 ex ginnaste erano le parti lese.
    C’è consapevolezza. Il problema esiste e non solo nello sport. Da questo punto di vista il nostro staff è tutto al femminile, non ci siamo mai trovate a convivere con questo problema. Posso dire di aver provato a mettermi nei panni delle ragazze che hanno subito molestie e penso che continuare la propria vita senza dire nulla sia un peso terribile, è come sentirsi private della propria intimità. Ammiro le donne che hanno parlato, anche dopo tanto tempo. Dichiarare in pubblico di aver subito abusi o molestie è sinonimo di grande coraggio.
     
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