La Storia della Danza Classica

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    Storia della danza classica

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    La danza, secondo Howard Gardner, “può considerarsi la forma d’arte originaria, probabilmente la sola praticata dai primi esseri umani”. Anche se non ne abbiamo le prove, sentiamo irremovibilmente che deve essere proprio così. Il grande fisiologo prosegue: ”In Occidente è anche quella che ha conosciuto più recentemente la svolta essenziale della sua storia”. Già dal XVI secolo la danza aveva iniziato a trasformarsi in "balletto", ossia in manifestazione autonoma strutturata secondo canoni estetici ben precisi, regolata da schemi coreografici e destinata alla rappresentazione di fronte a un pubblico. Questa forma di spettacolo, che prende l'avvio in Italia, si definisce secondo regole tendenti alla ricerca di una differenziazione sempre più accentuata nei confronti di tutte le forme di danza istintiva e indiscriminata.


    Il balletto di corte
    Nel Quattrocento la danza era una forma di arte importante nelle corti italiane rinascimentali, come testimoniano alcuni trattati di danza e molte partiture musicali giunte a noi. Grandiosi intrattenimenti servivano per affermare il potere e l’importanza delle famiglie aristocratiche, specialmente quando ricevevano ospiti illustri; questi spettacoli idealmente univano la pittura, la poesia, la musica e la danza. Ci sono descrizioni di banchetti dove ogni portata era introdotta da una danza sul tema del cibo da presentare. Gli spettacoli furono organizzati in grandi saloni, il teatro come noi lo conosciamo nasce solo dopo 1580, e non sarà usato per la danza prima della metà del Seicento.
    In occasione del matrimonio di Galeazzo Sforza, duca di Milano, con Isabella di Aragona in 1489 a Tortona, Bergonzio Botta, un gentiluomo di corte ha organizzato un “Balletto Conviviale”. Tra una potata e l’altro del banchetto nuziale, personaggi mitici e storici lodavano gli sposi e esaltavano la fedeltà coniugale. Si afferma così la figura del maestro e teorico di danza - la danza di corte cessa di essere improvvisazione e diventa una tecnica definita con una combinazione di passi prescritti. Centro d’irradiazione, con i primi maestri, è Milano, sede della scuola di coreografia e di danza fondata da Pompeo Diobono presso cui studieranno, tra altri, Baldassarino da Belgioioso e Cesare Negri (1525-inizio ‘600) autore del trattato “Nuove inventioni di balli” (1604).
    Il primo balletto della quale si conosce la coreografia, la musica e il libretto originale è “Le Ballet Comique de la Reine” (Il Balletto Comico della Regina conosciuto anche con il nome di Circe e le sue Ninfe) presentato a Parigi il 15 ottobre 1581 per le nozze del duca di Joyeuse con Margherita di Vaudemont. La coreografia è di Baldassarino del Belgioioso, violinista e maestro di danza di Caterina de Medici. I ballerini erano gli stessi aristocratici e il balletto fu fatto in un grande salone del Palazzo del Duca di Borgogna. I balletti della corte francese erano composti da scene di danze legate insieme da una trama minima, tipicamente mitologica o allegorica: i ricchi costumi, la scenografia e gli effetti erano più importanti della narrazione.



    BALLET COMIQUE DE LA REINE

    Rappresentazione coreografica, drammatica, musicale e scenotecnica in un prologo, due parti e grand ballet finale. Coreografia di Baltazarini di Belgioioso (Balthazar de Beaujoyeulx). Versi di La Chesnaye. Musiche di L. de Beaulieu, Salmon, Beaujoyeulx e altri. Scene e costumi di Jacques Patin. Parigi, Salle du Petit Bourbon, 15 ottobre 1581.
    Interpreti: M.lle de Saint-Mesme (Circé), M. de la Roche (Le gentilhomme; attore), M. de Beaulieu (Glaucus), M.lle de Beaulieu (Thétys), M.lles de Vitry, de Surgères, de Lavernay, d'Estavay (Nymphes), M. de Jutigny (Pan), M. du Pont (Mercure), la regina di Francia e la principessa di Lorena (due Naiadi), membri della corte di Enrico III.


    CRITICA. È convenzione ampiamente accolta quella di considerare questo fastoso spettacolo cortigiano come il punto di partenza della storia del balletto, o meglio del teatro di danza moderno. Accettiamo questa convenzione soltanto in quanto tale. Infatti, da una parte il balletto in senso proprio, come forma teatrale in cui la danza si separa dalla commedia e dal melodramma per acquistare piena autonomia espressiva, ha le sue origini non prima della metà del Settecento; dall'altra, le radici del teatro coreografico moderno in senso lato sono da ricercarsi negli spettacoli aristocratici del primo Rinascimento italiano, ove pantomima e coreografia, musica, canto e drammatica convergevano in "intermedi" di feste e rappresentazioni teatrali di corte, ovvero costituivano addirittura forme spettacolari a sé stanti, come nel caso del celebre "convivio coreografico" regolato da Bergonzio Botta nel 1489, in cui forse per la prima volta i divertimenti di danza si svolgevano secondo un soggetto unitario. Da molteplici dirette influenze italiane nasce il Ballet comique de la reine, voluto dalla regina madre di Enrico III di Francia, Caterina de' Medici, in occasione delle nozze del duca di Joyeuse con la cognata del re, M.lle de Vaudemont. Di nascita e formazione italiane è il suo creatore, Baltazarini di Belgioioso, onorato alla corte di Francia come violinista, coreografo e organizzatore di feste fin dal 1555, anno in cui vi giunge al seguito del Maresciallo di Brissac quale membro di un ammirato complesso strumentale. Tuttavia Belgioioso, pur ricollegandosi a una tradizione di spettacolo coreografico che già aveva percorso in Italia un cammino storico di almeno un secolo, coordinò gli elementi di tale tradizione tra loro e con certe istanze teatrali (e cortigiane) francesi e creò, col suo capolavoro, il modello di un genere per molti aspetti nuovo e destinato in Francia a diversi decenni di fortuna: il ballet de cour, spettacolo composto di danza, musica, poesia, scenografia e scenotecnica. Nell'importante prefazione al libretto del "Ballet comique de la Reine", pubblicato nel 1582, lo stesso Baltazarini mostra di essere consapevole dell'originalità della sua creazione e definisce comique il balletto poiché ritiene di averlo drammatizzato sposandolo alla commedia. Per quanto concerne poi il rapporto fra danza e musica, egli da la priorità alla prima, rivelando così il vero tratto originale della sua concezione, consistente in un arricchimento della sostanza coreografica che diviene fulcro spettacolare e in certo modo espressivo del balletto. Le tirades poetiche, le arie vocali, i cori e non ultimi i macchinismi scenici hanno comunque un peso rilevante nell'economia dell'opera, come rivela anche la partitura (di scarso interesse sul piano musicale), un terzo soltanto della quale è destinato alla danza. Lo schema formale del Ballet de Circé, come fu anche chiamato il "Ballet comique de la Reine" è quello al quale si sarebbero rifatti tutti i successivi ballets de cour: a una ouverture recitata, in cui è esposto il tema del balletto, segue la serie delle entrées composte di pantomima, danza, recitazione, canto solistico e corale e musica strumentale, attraverso le quali si svolge l'azione; lo spettacolo si conclude col grand ballet, costituito da danze d'insieme ordinate in movimenti di figurazioni geometriche, a cui prende parte tutta la corte. Diverse migliaia di spettatori, aristocratici ma anche borghesi, si accalcarono nel salone del Palais du Petit Bourbon alla prima e unica rappresentazione della Circé, durata quasi sei ore e costata una somma enorme; gli echi del fasto dello spettacolo destarono grande impressione nei contemporanei. Da notare che, come è tipico del ballet de cour e di altre forme coreografico-spettacolari precedenti, la concezione scenica è per cosi dire semi-teatrale: l'azione e le danze si svolgono nel centro della sala, un lato della quale è occupato dalle scene e gli altri tre dagli spettatori, sistemati su piani rialzati e gallerie; anche da ciò dipende il geometrismo della composizione coreografica, destinata a essere osservata dall'alto.

    Fonti: 1


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    Per approfondire: Storia del Balletto per immagini e impressioni

    Articolo vecchio:

    Premessa
    L'origine della danza classica proviene direttamente dall'Italia, dai balli di corte del Rinascimento. Ma il genere venne presto ripreso anche dalle corti francesi, che lo svilupparono e lo portarono alla massima espressione durante il XVII-XVIII secolo.
    Il termine "danza accademica" deriva dal fatto che questo stile di danza si avvale di una tecnica chiamata codificata dai maestri dell'Académie Royale de Danse, fondata a Parigi dal re Luigi XIV nel 1661, con l’intento di fissare e sviluppare i principi fondamentali dell’arte coreografica.
    Fu infatti in Francia che la danza classica si sviluppò maggiormente e si ufficializzò, grazie a Luigi XIV. Il Re Sole, detto anche il "re ballerino" (danzò appena quindicenne nel famoso "Ballet de la Nuit" nel ruolo del Sole, da cui derivò appunto il suo primo appellativo), nutriva una vera e propria passione per il genere artistico del balletto, ed è in gran parte a questa sua predilezione che si deve il dilagare della "ballettomania" nelle corti europee del XVII secolo.
    I soggetti dei balletti erano quasi tutti ispirati ai miti greci e latini, rielaborati per celebrare la figura del re e il trionfo delle arti. Anche il celebre commediografo Molière usò il balletto come "intervallo" tra un atto e l'altro delle sue commedie. E proprio Molière creò una forma di spettacolo che rappresenta un passo avanti verso la nascita del balletto classico moderno: la comédie ballet, rappresentazione teatrale in cui la danza non serviva solo da riempitivo, ma accompagnava le parti recitate.
    All’inizio tutti i danzatori erano uomini. La prima donna a ballare, M.lle La Fontaine, salì sul palco nel 1681 nel balletto Le Triomphe de l'amour, coreografato da Pierre Beauchamp.
    Fu lo stesso Beauchamp che codificò le cinque posizioni dei piedi della danza accademica - peraltro già menzionate dai maestri italiani del Rinascimento - eleggendole a norma per l'inizio e la fine di ogni passo. Creò anche un sistema di notazione della danza, che fu dato alle stampe con il titolo Chorégraphie ou Art de décrire la dance par caractères, signes et figures démonstratives (1700) ad opera del suo allievo Raoul-Auger Feuillet e perciò fu attribuito a quest'ultimo.
    Già dal XVI secolo la danza aveva iniziato a trasformarsi in "balletto", ossia in manifestazione autonoma strutturata secondo canoni estetici ben precisi, regolata da schemi coreografici e destinata alla rappresentazione di fronte a un pubblico. Questa forma di spettacolo, che prende l'avvio in Italia, si definisce secondo regole tendenti alla ricerca. di una differenziazione sempre più accentuata nei confronti di tutte le forme di danza istintiva e indiscriminata.
    Mentre dunque il patrimonio della danza popolare resterà pressoché immutato attraverso i secoli (nella sostanza naturalmente e non nella forma, che da un lato inevitabilmente subisce gli influssi della civilizzazione, e dall'altro risente almeno in parte della sistematicità imposta alla danza dalle esigenze culturali delle classi dominanti), la danza ufficiale, è ormai considerata degna di avere la sua storia e la sua teoria.

    La danza nel 700.
    In questo periodo il balletto resta nelle mani delle prime grandi professioniste, che divennero stelle invidiate e ammirate in tutte le corti d'Europa e ridonarono nuovo prestigio alla danza. Nel 1726 debutto all'Opéra di Parigi la sedicenne Marie Anne Cupis de Camargo, destinata a diventare las più grande " virtuosa" d'Europa: a quanto pare riusciva ad eseguire salti, piroette, e passi difficilissimi, che nessuno era mai stato capace di eseguire. Fu lei, inoltre, la prima ad accorciare la lunghezza dei costumi di scena, in modo da potersi muovere con più scioltezza. Furono le grandi virtuose e i loro maestri che, nel XVIII secolo, svilupparono la tecnica della danza classica; nello stesso periodo i maestri di danza italiani diffondevano l'arte del balletto anche in Austria e Russia.
    Nel 1760 Jean Georges Noverre pubblicò il trattato "Lettere sulla danza" nel quale invocava l'unità di danza, musica e scenografia e l'eliminazione delle danze per proprio piacere. Nella sua riforma Noverre portò ad una divisione netta tra danza meccanica e danza d'azione intendendo egli per la prima la danza che si affidava al puro tecnicismo e per la seconda quella che si basava su un racconto che per essere capito aveva bisogno dell'apporto sia della pantomima che della danza pura e quindi necessitava di sentimento, espressività ed energia capace di commuovere ed interessare.
    In polemica col Noverre fu il fiorentino Gasparo Angiolini (1731-1803), il coreografo italiano che contribuì all'evoluzione pantomimica della danza, il quale rimproverava al suo collega francese di essere troppo concettuoso affermando egli che l'opera del coreografo dovesse basarsi soprattutto sull'ispirazione e sull'estro creativo e non dovesse essere condizionata dai precetti. La danza stava rompendo col Classicismo e stava per entrare nell'epoca che l'avrebbe vista protagonista, l'epoca romantica.

    Verso il balletto romantico
    La rivoluzione francese non risparmiò neanche il mondo della danza, che fu investita dalle conseguenze di questo evento storico. Già nel 1792, il 2 ottobre, a Parigi si rappresentò Offrande à la Liberté, la cui coreografia era composta sulla musica della Marsigliese. Dal punto di vista contenutistico, si tendeva ad abbandonare i temi mitologici per calarsi nella realtà, introducendo trame e problematiche intese ad avvicinare i diversi ceti sociali fra di loro. Il ballo mitologico, non scompariva completamente, ma presentava agganci significativi a tematiche sociali ed umane. Accanto ad esso si accompagnavano il ballo storico (con particolare riferimento al mondo dell'impero romano), il ballo eroico, il ballo tragico.
    Sul piano formale e stilistico si sviluppava il concetto di danza come linguaggio artistico del corpo, capace di raggiungere le somme vette del dramma e della poesia. I maggiori centri di elaborazione coreutica furono Parigi, Vienna, Stoccarda. Si portò a compimento quel processo iniziato negli ultimi decenni del XVIII secolo, che vedeva il ruolo del maitre de ballets trasformarsi da ordinatore di danze a coreografo vero e proprio. Si poneva in termini seri il problema del rapporto tra le musiche e le danze. C'erano i sostenitori della ballabilità di qualsiasi musica. C'era invece chi, al fine di esaltare il ruolo primario della danza come fatto espressivo, riteneva giusto che fossero composte delle musiche ad hoc per i singoli balletti. Altri preferivano utilizzare le grandi composizioni musicali come base per le danze, senza sottilizzare su problemi di compatibilità. Le nuove tendenze e l'insieme delle problematiche connesse erano i chiari elementi della caratterizzazione romantica della danza ottocentesca.


    Il balletto nell’ Ottocento
    L'Ottocento lo si può considerare il secolo della ballettomania, con la nascita di teatri e scuole di danza "professioniste"annesse, come accadde a Mosca, nel 1805, quando venne aperto il Teatro Bolshoi. Durante la prima metà del XIXº secolo fu ancora un Italiano, il ballerino napoletano Salvatore Viganò, che realizzò e sviluppò le idee nuove espresse da Noverre nelle sue lettere sulla danza. Nei balletti creati da Viganò, infatti, il virtuosismo tecnico e la pantomima non erano due momenti di spettacolo separati, ma si fondevano in un'unica, nuova forma di spettacolo, molto vicina al balletto classico romantico, il "coreodramma" cioè l'azione espressa in termini di danza. I balletti che Viganò rappresentò alla Scala di Milano impressionarono profondamente anche lo scrittore francese Stendhal, che descrive il lavoro meticoloso del grande coreografo e la cura che metteva nelle sue creazioni.
    Nel 1823 la danzatrice italiana Amalia Brugnoli iniziò ad andare sulle punte, per lo più per due o tre passaggi, nel balletto La feé et le chevalier, (coreografia di Augusto Vestris).
    Fu poi nel 1832, che per la prima volta, Maria Taglioni danzò l'intero balletto La Sylphide, coreografia del padre Filippo Taglioni, sulle punte. La Sylphide cambiò moltissimo lo stile dei balletti, nella tecnica, nella storia e nei costumi e in un certo senso ispirò uno dei grandi capolavori romantici del balletto: Giselle, interpretato per la prima volta all’Opéra di Parigi nel 1841 da Carlotta Grisi. Il costumista Eugéne Lamy disegnò per la Taglioni il primo tutù bianco lungo fino alle ginocchia, con due piccole ali applicate all’altezza delle scapole, le scarpette da punta rosa adottate per dare l’impressione che la danzatrice si alzasse sulle punte per volare ed infine l’acconciatura “à bandeaux”.
    Grandi poeti e scrittore ispiravano o scrivevano i soggetti dei nuovi spettacoli di danza; i più grandi musicisti creavano partiture che ancor oggi sono la base del grande repertorio classico.
    Il balletto conobbe il suo periodo di maggiore splendore, anche perché il Romanticismo scelse questa forma di spettacolo per esprimere i suoi ideali artistici. Anche in Russia, nella seconda metà del XIXº secolo, l'arte del balletto acquistò grandissima importanza. Il merito fu soprattutto di un Italiano, il grande ballerino e maestro Enrico Cecchetti, che, dopo essersi esibito in tutta Europa e negli Stati Uniti, si trasferì in Russia, dove gli zar erano diventati grandi protettori della danza, e divenne il Maestro della Scuola di Danza Imperiale. Sarà proprio Cecchetti a formare la prima grande generazione di ballerini russi: insegnante al Teatro Imperiale di Pietroburgo e direttore del balletto della Scuola Imperiale di Varsavia, avrà tra i suoi allievi Anna Pavlova, Michel Fokine e Vaslav Nijiski. In questo periodo il ballerino e maestro di danza Marius Petipa diventò direttore della compagnia di balletto di Pietroburgo: fu lui a creare con il musicista Pëtr Il'ič Čajkovskij "La bella Addormentata", lo "Schiaccianoci" e " Il lago dei cigni", che restano i più famosi tra i balletti classici. I ballerini russi che uscivano dalla Scuola Imperiale erano ormai considerati i più bravi del mondo, e proprio in quegli anni si formò la generazione di danzatori che avrebbero dato vita alla famosa compagnia di balletto Diaghilev.

    L'epoca dei Ballets Russes
    La compagnia dei Ballets Russes di Sergej Djagilev (in francese: Serge Diaghilev), fra il 1909 e il 1929 è artefice di una vera e propria rivoluzione in senso "moderno" della danza classica, con l'assunzione di movimenti non canonici, per non dire addirittura "antiaccademici" e una forte rivalutazione delle potenzialità espressive e drammatiche della danza.
    Diaghilev decise di portare a Parigi una compagnia costituita di ballerini scelti fra i migliori elementi dei due teatri: il Bolshoi moscovita e il Marijinskij pietroburghese. L'esordio avvenne la sera del 18 maggio 1909 al Théâtre du Châtelet con il seguente programma Le Pavillon d'Armide , le Danze Polovesiane da Il principe Igor di Borodin e Le Festin con musiche di autori vari. Un avvenimento per la singolarità e l'eccezionalità del procedimento teatrale: tre balletti anziché un `ballo grande' che occupasse l'intera serata, alla maniera ottocentesca. Diaghilev si rese subito conto che di lì era nato il balletto moderno e una delle compagnie di maggior prestigio di sempre, Les Ballettes Russes, portatori d'innovazione.
    La prima guerra mondiale tagliò Diaghilev fuori dalla Russia ma le tournée europee continuarono e la compagnia poté effettuare anche un viaggio negli Usa (1916-17). Anni duri, difficili per ragioni finanziarie ma Diaghilev riusciva a riemergere ogni volta e a riottenere scritture per la sua compagnia. I più grandi artisti del momento da Cocteau a Picasso, da Stravinskij a Fokine, da Massine a Balanchine, dai due fratelli Bronislava Nijinska e il fragile Vaslav Nijinskij riuscirono, nella completa fusione delle espressioni, a creare qualcosa di memorabile e di duraturo che viaggiò per i cammini del mondo e che, con il passare del tempo, non si disperse ma si rinforzò grazie alla forza, alla bontà dell'ispirazione. Si potrebbero classificare con i nomi dei vari coreografi le fasi della compagnia: Fokine (1909-12 e 1914); Nijinskij (1913); Massine (1915-1920 e 1925-1928); Nijinska (1922-1926); Balanchine (1926-1929). Quindi anche un periodo russo, un altro francese, ancora un altro delle avanguardie storiche con il quale prematuramente si chiuse un ciclo utile al rinnovamento della danza d'arte, alla perfetta fusione degli elementi artistici arrivando così grave; al vagheggiato balletto moderno.
    Fra i ballerini si leggono i nomi di Pavlova, Karsavina, Nijinskij, Nijinska, Mordkin, Bolm, Spessivtseva, Danilova, Dolin, Lifar, Balanchine.
    La prima fase dei Ballets Russes si concluse verso il 1914 con l'allontanamento di Nijinsky e di Fokine, per poi terminare definitivamente nel 29 con la morte di Diaghilev e la partenza di Balanchine, ultimo coreografo dei B.R, per l'America. Qua gli vennero offerte la direzione della Scuola e della Compagnia dell'American Ballet di New York. Negli Stati Uniti Balanchine collaborò anche alla creazione della compagnia della Ballet Society, che nel 1948 divenne il New York City Ballet: questa e l' American Ballet sono a tutt'oggi i depositari del lavoro di Balanchine, cioè del suo stile e del suo repertorio.
    In seguito nacquero tante compagnie di balletto in altrettante città nordamericane: il National Ballet of Canada, a Toronto nel 1951, Les Grands Ballets Canadiens, a Montréal nel 1952, il Pennsylvania Ballet, a Filadelfia nel 1963 e lo Houston Ballet nel 1963.
    Nel 1956 le grandi compagnie russe, come la compagnia del Bolshoi o la compagnia del Kirov (ora Mariinsky), cominciarono ad esibirsi in occidente. L’intenso spirito drammatico e il grande virtuosismo tecnico ebbero un fortissimo impatto sul pubblico. È importante citare i grandi nomi di Rudolf Nureyev, diventato poi direttore artistico del Ballet de l'Opéra de Paris, di Natalia Makarova o di Mikhail Baryshnikov, poi direttore dell’American Ballet Theater, a New York.

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    La nascita della danza accademica
    Il balletto raggiunse il massimo rilievo durante il regno di Luigi XIV (1638-1715). Il ballerino e compositore franco-italiano Jean Baptiste Lully (1632-1687) e il coreografo francese Pierre Beauchamp crearono molti balletti di corte tra cui il “Ballet Royale de la Nuit” (1653) a cui prese parte anche lo stesso Luigi XIV nel ruolo del Sole (da qui il suo celebre appellativo). Il Re Sole nutriva una vera e propria passione per il genere artistico del balletto, ed è in gran parte a questa sua predilezione che si deve il dilagare della "ballettomania" nelle corti europee del XVII secolo. Durante il suo regno, il Re Sole fonda L’Académie Royale de Danse (1661) che nel 1671-72 si trasformerà in “Academie de Musique et Danse”. Nel frattempo il celebre commediografo Molière (che aveva collaborato ai soggetti di diversi spettacoli di danza) usò il balletto come "intervallo" tra un atto e l'altro delle sue commedie. E proprio Molière creò una forma di spettacolo che rappresenta un passo avanti verso la nascita del balletto classico moderno: la comédie ballet, rappresentazione teatrale in cui la danza non serviva solo da riempitivo, ma accompagnava le parti recitate. Dal 1664 al 1671 Molière collabora con Lully; molte sue composizioni, come “Il Borghese Gentiluomo” e “Psyché”, erano in origine comédie-ballets.
    La danza dunque, da piacere individuale che era, divenne spettacolo e il danzatore non danza più per se stesso ma per lo spettatore, trasferendosi su di un piano di esibizionismo. Lo stesso succederà con la “tragédie-ballet” quando Lully volle rinunciare al burlesco della comèdie per qualcosa di più serio e grave. Fino a questo momento tutti i danzatori professionisti erano uomini: Louis Pécour, Michel Blondy e Jean Ballon, celebre per la sua leggerezza, il cui nome passò ad indicare quella particolare predisposizione allo staccarsi da terra e rimanere sospeso in aria per ricadere con pari leggerezza. La prima donna a ballare, M.lle La Fontaine, salì sul palco nel 1681 nel balletto Le Triomphe de l'amour, coreografato da Pierre Beauchamp. Fu lo stesso Beauchamp che codificò le cinque posizioni dei piedi della danza accademica - peraltro già menzionate dai maestri italiani del Rinascimento – definendo il principio delle gambe e dei piedi en dehors. Creò anche un sistema di notazione della danza, che fu dato alle stampe con il titolo Chorégraphie ou Art de décrire la dance par caractères, signes et figures démonstratives (1700) ad opera del suo allievo Raoul-Auger Feuillet e perciò fu attribuito a quest'ultimo. Beauchamp, che fu il primo direttore dell’Académie Royale, con un lavoro meticoloso ed organico, sintetizzò due secoli di danza, sulla base di canoni ben precisi codificando una vera e propria tecnica accademica.



    BALLET ROYAL DE LA NUIT

    Ballet de cour (à entrées) in quattro parti e quarantatre entrate. Coreografie di Pierre
    Beauchamp, Giovanni Battista Lulli e altri. Musiche di Jean de Cambefort e Giovanni Battista Lulli. Soggetto di Clément. Versi di Isaac de Benserade. Scene e macchine di Giacomo Torelli. Parigi, Salle du Petit Bourbon, 23 febbraio 1653. Interpreti: Beauchamp, Lulli, Lambert, Robichon, Mollier ecc., il re Luigi XIV e numerosi membri d'alto rango della corte.


    L'ARGOMENTO. Il balletto vuoI rappresentare tutto ciò che avviene a Parigi dal crepuscolo al mattino.
    Prima parte. All'ouverture compiuta dalla Notte fanno seguito quattordici entrées, pastorali, mitologiche, allegoriche e grottesche, di soggetto ispirato agli accadimenti delle ore serali, dalle sei alle nove.
    Seconda parte. Dalle nove fino a mezzanotte regnano i divertimenti, con spettacoli e balli ove, in sei entrées, figurano Ardenti, Ruggero e Bradamante, Angelica e Medoro, Giano, Ganimede, Ebe, Bacco, le nozze di Teti, momenti di una commedia plautina ecc.; Venere vi presiede con «i Giochi, le Risa, l'Imene e il resto del suo equipaggio ».
    Terza parte, in tredici entrées. La Luna è condotta da Amore al pastore Endimione, mentre paesani e astrologi, stupiti dall'eclissi, la invocano. Le Tenebre favoriscono l'ora del sabba, animato da demoni, streghe e licantropi; segue un incendio notturno.
    Quarta parte, in dieci entrées. Il Sonno e il Silenzio evocano i Sogni; appaiono i quattro Elementi, che mostrano dei furiosi, degli avventurieri, un amante di Giunone, un pauroso, dei poeti, dei filosofi, degli innamorati e altre incarnazioni dei quattro Temperamenti. Il Giorno inizia a sorgere; l'Aurora, su un carro superbo, conduce il Sole, che dissipa le nubi e promette il più gran giorno del mondo. Tutti si uniscono nel grand ballet che conclude la rappresentazione.

    CRITICA. Esempio maturo e compiuto di ballet de cour e capolavoro del genere, del quale abbraccia in un quadro flessibile e fantasioso tutte le possibili risorse, il Ballet de la Nuit segna l'unione di tre nomi di grande rilievo nella storia del teatro coreografico della seconda metà del Seicento. Anzitutto quello del re Luigi XIV, appassionato cultore e protettore della danza, che proprio dal ruolo qui interpretato, quattordicenne, prese il nome di Re Sole. Quindi Giovanni Battista Lulli, baladin in questo balletto del quale musicò e coreografò pure alcune parti, nominato l'anno stesso compositore di corte e avviato a divenire protagonista e dittatore assoluto del teatro musicale in Francia per diversi decenni. Infine Pierre Beauchamp, danzatore e parzialmente coreografo nel Ballet de la Nuit, poi maestro fondatore della tradizione della danza accademica francese e celebrato coreografo, collaboratore di Molière e di Lulli. Alla fortuna del Ballet Royal de la Nuit contribuirono anche la finezza e la varietà dell'invenzione poetica di Isaac de Benserade, librettista di ingegno senza dubbio superiore a quello di tutti i suoi predecessori nel genere del ballet de cour, e la magnificenza della messa in scena. È questa una delle ultime realizzazioni valide di tale tipo di spettacolo ballettistico, che sarebbe pur proseguito in rappresentazioni stereotipe per un'altra ventina d'anni, ma cedendo via via il passo a forme di teatro musicale più differenziate e artisticamente consapevoli.

    LA MUSICA. Giovanni Battista Lulli, francesizzato in Jean Baptiste Lully, è il personaggio chiave di un'epoca ricca di mutamenti e di scoperte intellettuali. Artista di vasti interessi e di grande versatilità, egli seppe imporsi alla corte di Francia come musicista assoluto, interpretando nel modo più giusto le richieste del re e al tempo stesso esaltando il rapporto con il teatro nelle sue forme drammatiche o satiriche. Il nome di Lulli brilla nelle forme rappresentative del Seicento in virtù di una superiore maestria compositiva che, unita a un sapiente senso organizzativo e a un fine intuito politico, produsse il passaggio dalla musica di divertimento alla musica "creativa". Egli è considerato il creatore dell'opera francese: maestro del declamato, sviluppò l'importanza del recitativo accompagnato, nobilitò le forme orchestrali e l'interpretazione dei cantanti, ponendo la massima attenzione al dramma. Il suo amore per il teatro lo condusse a una stretta collaborazione con Molière, nella individuazione di alti valori spettacolari che vanno sotto il nome di comédie-ballet, uno dei massimi riferimenti storici ed estetici della cultura del tempo e un genere nuovo, consistente in un canovaccio di commedia, integrato da una serie di interventi e divertimenti che producevano una maggiore e più agile omogeneità narrativa.
    È chiaro che i testi di Molière avevano in sé il segno di una grandezza letteraria superiore, ma è anche vero che le musiche di Lulli ne furono il più giusto complemento, rinvigorendosi la parte musicale per il tramite, finalmente, di una personalità non limitata o accessoria. Sono dodici le commedie e le pastorali in cui si esplicò la collaborazione fra i due grandi artisti, con titoli rilevanti quali il Bourgeois gentilhomme e Monsieur de Pourceaugnac. Con Lulli la musica in Francia insidia la prevalenza dello stile italiano: ed è interessante notare il passaggio (o la convivenza) dal genere eroico e mitologico a quello più vero ispirato alla realtà della vita, al rapporto fra l'uomo nuovo e quello storico, nel segno di una critica sociale che, muovendosi dal teatro, resta come una eterna testimonianza di un nuovo modo di ragionare e di essere la cui forza morale sopravvive fino ai nostri giorni.





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    Marie Sallé – Marie Camargo – Barbara Campanini detta "la Barberina"



    La danza nel 700 e la riforma di Noverre
    La prima metà del secolo fu dominata, in Francia, dall’opéra-ballet, forma di spettacolo che univa al canto lirico una danza concepita come arte pura, come decorazione fatta di sofisticati giochi di linee e piacevoli virtuosismi senza alcun fine salvo quello di dilettare. Lo spettacolo, ormai troppo complesso per la rappresentazione nei saloni delle corti, salì sui primi palcoscenici. Da allora si registrò un'intensa attività coreografica nei maggiori teatri italiani; si definirono i ruoli (“inventore di balli”, direttore, ballerino fuor de' concerti, secondo e terzo ballerino, ecc.); si rese necessaria l'uscita del balletto dall'opera e, di nuovo, la sua affermazione come genere autonomo. In questo periodo le prime grandi professioniste divennero stelle invidiate e ammirate in tutte le corti d'Europa e ridonarono nuovo prestigio alla danza; mentre in Francia si accendeva la rivalità fra due grandi ballerine, la Camargo e Marie Sallé – brillante esecutrice l'una e sensibile interprete l'altra –, in Italia si affermavano la grazia e il fascino dei Barbara Campanini detta "la Barberina", un fenomeno negli entrechats huit. Ma con il professionismo i valori espressivi del balletto decaddero. E a questo punto con decisione intervenne Jean-Georges Noverre, il quale, con le famose Lettres sur la danse et sur les ballets (1760), condannò il virtuosismo esibizionistico e teorizzò la necessità di una riforma del balletto che presentasse una forma e un contenuto in stretto rapporto all'azione drammatica in maniera che i ballerini non fossero freddi figuranti ma consapevoli interpreti. Nacque in tal modo l'istanza di un “balletto d'azione” che si basava su un racconto che per essere capito aveva bisogno dell'apporto sia della pantomima che della danza pura e quindi necessitava di sentimento, espressività ed energia capace di commuovere ed interessare. La riforma del balletto portata avanti da Noverre interessò anche i costumi di scena con l'abolizione dell’uso della maschera e di ogni inutile e impacciante ornamento: vennero alleggerite le vesti e adottate le prime calzemaglie maschili (maillots).


    “Quando la leggerezza, le opposizioni di braccia con le gambe, tutti questi elementi non hanno una giustificazione spirituale, quando il genio non guida quei movimenti e il sentimento e l’espressione non prestano loro energia capace di commuovermi e di interessarmi, io applaudo allora l’abilità, ammiro l’uomo-macchina, rendo giustizia alla sua forza e agilità; ma egli in nessun modo mi commuove, non mi intenerisce/interessa, non mi provoca maggiore sensazione...”

    Noverre da "Lettres sur la danse et les ballets"


    La nuova tendenza trovò seguaci in Vincenzo Galeotti, attivo a Copenaghen e considerato il creatore del balletto nazionale danese, in Dauberval, il cui balletto comico è vivo ancor oggi (La fille mal-gardée, 1786) e Diderot, che in Russia gettò le basi di un balletto nazionale indipendente. E qui è doveroso ricordare anche l'austriaco Hilverding e, più ancora, l'italiano Gasparo Angiolini (1731-1803), coi suoi balli pantomimici, che compose con il Don Juan (1761) il primo balletto d'azione, anticipando e, soprattutto, realizzando sul piano teatrale le idee noverriane. In polemica col Noverre, Angiolini rimproverava al suo collega francese di essere troppo concettoso affermando egli che l'opera del coreografo dovesse basarsi soprattutto sull'ispirazione e sull'estro creativo e non dovesse essere condizionata dai precetti. La danza stava rompendo col classicismo e stava per entrare nell'epoca che l'avrebbe vista protagonista, l'epoca romantica.



    DON JUAN ou LE FESTIN DE PIERRE

    Balletto pantomimo in tre atti. Coreografia di Gasparo Angiolini. Libretto di Gasparo Angiolini, in parte da Molière. Musica di Christoph Willibald Gluck. Scene di Giulio Quaglio. Vienna, Burgtheater, 17 ottobre 1761. Interpreti: Gasparo Angiolini (Don Juan), ballerine Pagani, Clerc e Reggiano, ballerini Dupré, Turchi e Viganò.

    L'ARGOMENTO.
    Atto primo. Don Giovanni canta una serenata a donna Elvira, figlia del Commendatore, e ottiene di entrare in casa. Sorpreso dal Commendatore, don Giovanni si batte con lui e lo uccide. Donna Elvira si dispera sul cadavere del padre, ma segue il suo seduttore.
    Atto Secondo. Festa nel palazzo di don Giovanni, durante la quale il libertino lascia donna Elvira per corteggiare altre donne. La statua del Commendatore entra nella sala e, rimasta sola col protagonista a causa del terrore che ha fatto fuggire i convitati, lo invita a ricambiare la visita. Donna Elvira tenta invano di dissuadere don Giovanni dal mantenere l'impegno.
    Atto terzo. Don Giovanni si reca all'appuntamento davanti al monumento funebre del Commendatore. Dopo il suo rifiuto di redimersi, don Giovanni è circondato da fantasmi e furie e inghiottito tra le fiamme.

    CRITICA. A Vienna, che era uno dei centri del balletto europeo intorno alla metà del Settecento, forte di una tradizione coreografica già orientata allo stile espressivo pantomimico dall'opera di Hilverding, Gasparo Angiolini creò Don Juan, suo capolavoro, primo compiuto balletto pantomimo nella storia della danza e, anzi, primo balletto nel senso moderno del termine. Tale conquista si inquadra nella più generale riforma del teatro musicale che nell'epoca aveva a Vienna un punto focale nel cenacolo di artisti e letterati fra i quali spiccavano Gluck, Ranieri de' Calzabigi e non certo ultimo Gasparo Angiolini. I tre nomi sono uniti nella creazione di Don Juan, per il quale Gluck compose lamusica in stretto parallelismo con il lavoro del coreografo italiano, mentre il Calzabigi mise mano alla dissertazione pubblicata in occasione della prima del balletto, sorta di manifesto del balletto pantomima di fondamentale interesse estetico in cui furono esposte le idee poetico-coreografiche deII'Angiolini. Come nell'opera Gluck mirava alla rappresentazione cantata di un dramma, cosi l'Angiolini ne aveva teorizzata e realizzata con Don Juan (un anno prima dell'Orfeo ed Euridice gluckiano) la rappresentazione danzata, un "balletto d'azione" ben lungi dai balletti di mero divertimento, vuoto di senso espressivo, dell'epoca. La riforma del balletto, che diveniva autonoma forma di teatro drammatico, precedeva cosi quella dell'opera, per poi contribuire all'evoluzione della stessa; rilevante sarebbe stata infatti, nell'opera di Gluck, la funzione scenica della danza. D'altra parte l'unità espressiva del ballo pantomimo drammatico, nella formulazione dell'Angiolini, esigeva il concorso stretto della "nuova" musica. Nella menzionata dissertazione programmatica premessa al libretto di Don Juan, l'Angiolini definì la sua creazione un «balleto pantomimo nel gusto degli antichi», per i quali la pantomima era «l'arte di imitare i costumi, le passioni, le azioni degli dei, degli eroi, degli uomini, con movimenti e attitudini del corpo, con gesti e segni fatti in cadenza e propri ad esprimere ciò che si aveva intenzione di rappresentare. Questi movimenti, questi gesti dovevano formare, per cosi dire, un discorso concatenato: era una specie di declamazione, fatta per gli occhi, della quale si rendeva la comprensione piu facile agli spettatori per mezzo della musica... ». È importante comunque osservare che la pantomima, come era concepita dall'Angiolini, aveva un carattere sempre danzante, cioè che le esigenze mimico-espressive non rinnegavano le acquisizioni accademiche della danza pura, o danza nobile, ma anzi la integravano con precisa coscienza storica in una nuova dimensione teatrale. Anche su questo punto infatti l'Angiolini si opponeva al Noverre, l'altro grande teorico del ballet d'action, sostenendo la pantomima "misurata", cioè fusa con la danza e connessa alla musica, in luogo di quella "camminata" del coreografo francese. Un altro tratto caratterizzante della famosa polemica riguardava l'utilità dei programmi nei balletti, che l'Angiolini negava ritenendo l'arte coreografica bastante a se stessa nel tradurre qualsiasi dramma teatrale, senza esplicazioni «umilianti per l'arte». Tale poetica guidò appunto la creazione di Don Juan, la cui efficacia drammatica suscitò nei contemporanei un'ammirazione incondizionata, anche se lo stesso Angiolini giudicò, anni dopo, che in essa «la teoria sorpassava la pratica». Fonte letteraria del libretto fu il Don Juan ou le festin de pierre di Molière, ma nell'adattamento alle particolari esigenze di sintesi della trasposizione coreografica l'Angiolini tenne presente pure El Burlador de Sevilla di Tirso deMolina, accentuando l'aspetto interiormente tragico del tema, per cui la linea drammaturgica risultante è in certo senso nuova e originale. È interessante osservare come alcune soluzioni del libretto angioliniano (oltre che di quello del Bertati per Il Convitato diPietra del Cazzaniga) siano state riprese dal Da Ponte e da Mozart nel Don Giovanni. Per quanto concerne l'elemento propriamente coreografico non ci restano, naturalmente, che notizie puramente letterarie, testimonianti la plasticità e l'essenzialità delle figurazioni coreografiche, l'intensità espressiva e al tempo stesso l'euritmia lirico-orchestica della pantomima danzata angioliniana. A riprova della vitalità e del valore storico artistico di questo balletto stanno le numerose versioni moderne di esso, tra le quali quella non a caso tentata dall'autentico riformatore del balletto del nostro secolo, Michel Fokine. Per fedeltà allo spirito e alle concezioni coreografico-teatrali dell'Angiolini si impongono invece le diverse realizzazioni di Don Juan dovute ad Aurelio Milloss, la più recente delle quali, del 1977, impiegante tutta la partitura di Gluck, pur apparendo nello stile coreografico e nella nuova stesura drammaturgica come una libera ricreazione, fa rivivere con rigorosa consapevolezza storica il capolavoro angioliniano.





    La seconda meta del XVIII secolo è stata segnata dai grandi ballerini dell’Opéra di Parigi. Gaetano Apollino Baldassarre Vestris nacque a Firenze il 18 aprile 1729 in una numerosa famiglia di artisti. Nel 1748 esordì all’Opéra divenendo nel 1751 premier danseur. Già allora la fama e il successo ottenuti avevano accresciuto a tal punto la sua innata vanità che rimase memorabile un suo giudizio su sé stesso: “Ci sono solo tre grandi uomini in Europa: il re di Prussia, Voltaire e Io”. Nel 1754 si esibì a Berlino per poi tornare in Italia con i fratelli per danzare al Regio di Torino. Dovunque andò riscosse trionfi inimmaginabili. Nel frattempo si era legato a Marie Allard (1742-1802), un’eccellente ballerina specializzata in ruoli comici e di carattere. Da questa relazione sentimentale, nel 1760, nacque Auguste Vestris, che raccolse il testimone artistico di Gaetano e anche lui, come era avvenuto per il padre, fu soprannominato successivamente “Le Dieu de la danse”. Auguste ha debuttato nel 1772, a solo 12 anni all’Opéra ed è stato primo ballerino fino a 1816 quando si ritirò dopo quarantaquattro anni di carriera. Per molti anni, però, continuò ad insegnare presso lo stesso teatro contribuendo alla formazione di future grandi personalità della danza quali: Charles-Louis Didelot, Jules Perrot, August Bournonville, Marius e Lucien Petipa, Marie Taglioni e Fanny Elssler. Le cronache raccontano che nel 1781, in occasione di un’esibizione di padre e figlio al Covent Garden di Londra, il Parlamento inglese dovette interrompere la sua sessione di lavoro in modo da consentire ai suoi membri di assistere alla rappresentazione.
    Nel 1792 Gaetano Vestris di unì in seconde nozze con Anne Friedricke Heinel (1753-1808) una celebre ballerina tedesca. Si racconta che Anne Heinel sia stata la prima ballerina ad eseguire la doppia piroette con il rond de jambe, passi inventati da Gaetano Vestris e successivamente perfezionati da Maximilien Gardel. Vestris, uno dei più grandi danzatori di metà Settecento, non era particolarmente dotato in quanto possedeva una conformazione difettosa delle gambe che sopperiva, tuttavia, con un’espressività ed una tecnica prodigiosa tanto da rappresentare il prototipo per eccellenza del danzatore della sua epoca in virtù della sua grazia e dell’armonia dei suoi passi.

    Siamo nel periodo della Rivoluzione Francese la quale non risparmiò il mondo della danza. Già nel 1792, il 2 ottobre, a Parigi si rappresentò Offrande à la Liberté, la cui coreografia era composta sulla musica della Marsigliese. Dal punto di vista contenutistico, si tendeva ad abbandonare i temi mitologici per calarsi nella realtà, introducendo trame e problematiche intese ad avvicinare i diversi ceti sociali fra di loro. Il ballo mitologico, non scompariva completamente, ma presentava agganci significativi a tematiche sociali ed umane. Accanto ad esso si accompagnavano il ballo storico (con particolare riferimento al mondo dell'impero romano), il ballo eroico, il ballo tragico. Sotto l’ascendente della Rivoluzione, apparvero quindi nuovi soggetti presi dalla quotidianità: il 1 luglio 1789 debutta a Bordeaux il capolavoro coreografico di Jean Dauberval (1742 - 1806) “Le Ballet de la Paille: ou il n’est qu’un pas du mal au bien”, che divenne poi “La fille mal gardée” il 30 aprile 1791 quando venne rimontato al King’s Pantheon Theatre di Londra. Si tratta del primo ballet d'action, nel quale le parti virtuosistiche si alternano a parti mimate e, dopo a “Caprices du Cupidon et du Maitre de Ballet” di Galeotti (1786), è il più vecchio balletto del repertorio europeo pervenuto sino a noi.

    Un altro coreografo molto importante fu Pierre Gardel (1758 - 1840), grande danzatore e dal 1787 direttore dell’Opéra che, otto anni dopo “Offrande à la Liberté” ispirato ai principi rivoluzionari, crea “Dansomanie” in cui il valzer, ballo popolare che si è diffuso repentinamente in tutta l’Europa, appare per la prima volta sul palcoscenico.
    Ma la fusione tra azione, danza e musica trovò la sua perfezione nel coreodramma di Salvatore Viganò: il ballo, non più vincolato a ferree leggi accademiche, diveniva sciolto, vivo; il gesto, la mimica approfonditi psicologicamente; il pathos insito nella simultanea figurazione e contrappunto di passo e canto si sprigionava con immediatezza. Si apriva, così, la grande stagione dei miti. La fiaba coreica (Il Noce di Benevento, 1822), la tragedia danzata (Otello, La Vestale, 1818), il ballo epico (Il Prometeo, 1813; Dedalo ed Icaro, 1818; I Titani, 1819) destavano un enorme interesse nel pubblico e negli scrittori (come Stendhal) e la potenza del Viganò, la sua dignità artistica, la sua genialità intuitiva, trovavano unanimi i critici nel porlo al sommo vertice della danza d'arte. Grazie alla sua opera e al suo talento il Teatro alla Scala assurse a centro coreografico di importanza mondiale.



    LA FILLE MAL GARDÉE

    Balletto in due atti e tre scene: libretto e coreografia di Jean Duberval. Musica di autore ignoto. Bordeaux, Grand Théâtre, 1 luglio 1789. ripresa nel 1828 all’Opéra di Parigi con musica di Louis-Joseph-Ferdinand Hérold.

    L'ARGOMENTO.
    Atto primo. Scena prima. Madame Simone (in altre edizioni Marcellina) è una ricca proprietaria terriera che dirige sul lavoro dei campi un bel numero di contadini e contadine. Sua figlia, Lise, è innamorata di un bel contadino, Colin, naturalmente povero, e ciò non garba affatto alla madre. Colin, mandato via da Simone, combina un appuntamento nei campi: Lise accetta. Sopraggiunge un ricco possidente, Thomas (o Michaud) con il figlio Alain, decisamente sciocco, a rimorchio. Thomas chiede per Alain la mano di Lise, e Simone, colpita dalla ricchezza portata in dote dal giovanotto, dà il suo assenso. Lise non è d'accordo, e neanche Alain, timidissimo, pare contento dei maneggi dei loro genitori.
    Scena seconda. Tutti si ritrovano nei campi, durante i lavori di raccolta del grano. I caratteri si definiscono: mentre Lise e Colin capiscono di amarsi sempre più, Alain gioca infantilmente e Simone fa la civetta con Thomas. Un temporale mette in fuga tutta la compagnia.
    Atto secondo. Simone, sempre decisa a costringere Lise a sposare Alain, le dona un velo da sposa e le insegna una danza nuziale. Lise finge di consentire ai voleri della madre, sa che Colin è nei paraggi, e riesce a farlo entrare in casa, profittando di una momentanea assenza di Simone. Quando questa ritorna, lo nasconde nella camera da letto (in altre edizioni è un granaio). Simone fa provare a Lise l'abito da sposa, ma in quel punto giungono Thomas e Alain. Anche Lise viene spedita, in sottoveste, nella camera. Raggiunto l'accordo per le nozze, Madame Simone dà ad Alain la chiave della stanza: Alain apre, ma vi trova Lise e Colin, piuttosto imbarazzati. Confusione generale. Il finale premia i due giovani, che vengono uniti in matrimonio con la benedizione di Simone, malgrado i furori di Thomas. Alain, dal canto suo, continua i suoi giochi infantili. Il matrimonio può dar luogo, naturalmente, a una quarta scena dentro o davanti alla chiesa.

    CRITICA. Fra i balletti del passato entrati nel repertorio delle grandi compagnie, La fille mal gardée è il più famoso e, dopo i Capricci di Cupido di Galeotti il più antico. Ma non è questo il solo primato che deve essere riconosciuto alla creazione di Dauberval: per la prima volta, infatti, l'argomento è moderno, e coinvolge persone e avvenimenti di un mondo borghese. La storia di Lise e Colin, innamorati separati dalle differenze di classe ma uniti dall'amore, era in tono con i tempi nuovi annunciati, nel 1789, dalla rivoluzione francese. La fille mal gardée è del resto in linea come argomento con la letteratura sentimentale del Settecento e con l'opera buffa, di cui ripropone alcuni elementi fondamentali. La freschezza della trama, l'agilità del libretto permisero al balletto di sopravvivere nell'epoca romantica. Le musiche facili, anonime o popolari della prima versione furono organizzate da un operista quale Rérold nel 1827 in una partitura che resta legata alle ulteriori produzioni, che furono numerosissime in ogni parte d'Europa. Un altro contributo musicale, meno importante, fu quello di Rertel, nel 1864. Le due versioni più interessanti attualmente in repertorio sono firmate dall'inglese Frederick Ashton e dal russo Oleg Winogradow. Ma non dimentichiamo che La fille mal gardée interessò anche Petipa a Pietroburgo, nel 1885.


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    "La Fille Mal Gardée" ieri e oggi



    Il balletto pre-romantico: Didelot e Blasis.
    Precursore e fondatore della scuola russa, per avervi ivi a lungo lavorato, fu Charles-Louis Didelot, ballerino coreografo e insegnate francese (1767-1836). Didelot debuttò a Parigi nel 1790 accanto a M.lle Guimard e nel 1796, al King’s Theatre di Londra, mise in scena quello che venne considerato il suo balletto più importante “Flore et Zéphire” su musica di C. Bossi. Mentre si trovava a Londra, Didelot ricevette l’invito di Alexander Naryshkn, direttore dei Teatri imperiali, di lavorare al Teatro di San Pietroburgo dove si recò nel 1801. In Russia, già da diversi anni, il balletto si era accreditato come forma d’arte autonoma grazie anche all’opera di importanti figure quali Franz Hilverding e Gasparo Angiolini. Ma nel 1810 Didelot entrò in disputa con la Direzione del Teatro di San Pietroburgo in quanto, forte della grande crescita della Scuola che ormai annoverava oltre cento allievi, brigò per ottenere maggiori fondi per la medesima ma il suo intento non fu capito cosicché egli decise di lasciare la Russia. Fece spola in quel periodo tra la Francia e l’Inghilterra dove risiedette più a lungo finché, nel 1816, rientrò a San Pietroburgo per proseguire la sua missione di riformatore del balletto russo. Al suo ritorno, Didelot mise in scena “Aci e Galatea” a cui seguirono negli anni successivi numerosi lavori quali balletti, divertissements e coreografie per le opere liriche. Nel 1825 fu rappresentata la sua creazione più importante: “Il prigioniero del Caucaso”. Con questo balletto Didelot raggiunse il picco della sua creatività mettendo in atto ancora una volta tutte le risorse tecniche possibili tra le quali l’apparizione di un’aquila che scendeva dal cielo per rapire una bambina. Didelot fu, infatti, uno dei primi coreografi a sperimentare i balletti aerei eseguiti per mezzo di ingegnosi macchinari scenici. Questa tecnica applicata per la prima volta nel balletto “Zéphire et Flore” del 1804, gli permise di dare l’illusione che gli interpreti volassero precorrendo, quindi, la tendenza romantica di idealizzare i propri soggetti rivolti verso il cielo piuttosto che radicati alla terra.

    All'italiano Carlo Blasis (1795-1878) si deve invece il passaggio dalla grande scuola accademica francese a quella italiana che costituì l'elemento saldatore tra la danza classica ed il balletto romantico. Blasis, uomo molto colto, danzatore, coreografo, insegnante di danza, compositore di musica, scrittore, disegnatore, filosofo, scrisse numerosi trattati e manuali sulla didattica della danza.
    Nel 1828 pubblicò a Londra "The Code of Terpsichore", tradotto due anni dopo in francese col titolo "Manuel Complet de la Danse", corredato da numerose figure e musiche composte da Blasis stesso.
    Nel 1857 uscì a Milano il suo trattato più ambizioso, "L’uomo Fisico", intellettuale e morale, di matrice filosofica, in cui sono studiati i sentimenti umani e i principi fisici che regolano l’arte della danza e con il quale egli vuole offrire ai propri discepoli ed ai lettori una “summa” della conoscenza, una sorta di “teatro della memoria”. Come già aveva fatto per i trattati precedenti, Blasis pone l’accento sull’importanza di una solida formazione culturale, letteraria e soprattutto artistica. In particolare lo sguardo deve essere rivolto ai capolavori dell’arte del passato, in primis a quelli della scultura classica, fonte di ispirazione per il danzatore in quanto “esempio sublime della perfezione e delle forme umane e della espressione naturale”.
    Uno sguardo attento fu rivolto anche alla cultura e all’arte rinascimentale. Attinse e prese esempio dal Trattato della pittura di Leonardo e quando introdusse l’attitude tra la gamma delle pose espressive della danza, trasse ispirazione dalla statua del Mercurio del Giambologna. Con la sua cultura eclettica e vasta creò una perfetta sintesi tra gli impeti romantici temprati da un rigore e da uno studio vicini a quelli degli enciclopedisti, ed una compostezza neoclassica ereditata dalla tradizione accademica.
    Grandi interpreti usciranno dalla sua scuola ed il suo insegnamento teorico-pratico sarà destinato ad avere una grandissima influenza su tutto il balletto della seconda metà dell’Ottocento e anche oltre.
    Tra le più brillanti allieve di Blasis si possono ricordare Sofia Fuoco (1830-1916), il cui nome ben si addiceva al suo straordinario temperamento, e Claudina Cucchi (1834-1913) che ballò alla Scala, ma trionfò a Parigi dove fu ribattezzata Couquì.
    Le allieve della scuola di Blasis univano alla tecnica una straordinaria abilità interpretativa, sintesi derivata dalla metodologia di studio del maestro che nei suoi trattati fornisce numerose indicazioni di carattere didattico; affermava, infatti, che “Il successo o l’insuccesso nello studio della danza dipende molto da come si iniziano gli studi; per questo occorre dare molta importanza alla scelta del maestro”, che secondo Blasis deve avere le seguenti caratteristiche: “Un maestro di ballo deve unire una perfetta conoscenza dell’arte della danza e della pantomima con quella della musica e del disegno. Sarebbe di guadagno per lui anche lo studio della letteratura e la lettura dei grandi autori. Deve avere buona conoscenza delle diverse arti meccaniche ed anche della geometria. Una buona esperienza in matematica permette chiarezza di pensiero ed esattezza di esecuzione. Un buon maestro di ballo è contemporaneamente autore e macchinista di teatro”.


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    FLORE ET ZÉPHIRE

    Ballet-divertissement in un atto. Libretto e coreografia di Charles Didelot Musica di Cesare Bossi. Prima rappresentazione: Londra, King's Theatre, 7 luglio 1796. Interpreti M.me Hilligsberg (la ninfa Cleonice), Rose Didelot (la ninfa Flora), Charles-Louis Didelot (Zefiro), Ménage (Cupido), Miss Hill (un amorino). Scenografia, costumi e macchine teatrali di Liparotti.

    Pare che lo stile "volante" - quella pratica preannunciante il romanticismo (questo balletto appartiene, infatti alla corrente del cosiddetto pre-romanticismo) che consisteva nell'adottare delle funi, legate al corpo delle ballerine, per farle trasvolare da un punto all'altro del palcoscenico - si sia inaugurato proprio con l ballet-divertissement di Charles Didelot. Costui (Stoccolma 1767, Kiev 1837), ballerino, coreografo e insegnante, svedese di nascita, francese per ascendenza paterna (Parigi-Bordeaux) e russo di adozione per un decennale lavoro di riorganizzazione didattica (1801-1811). Flore et Zéphire è un balletto emblematico dell'arte di Didelot. Maria Taglioni fece il suo esordio londinese (1830) proprio in questo balletto. Un altro balletto sullo stesso soggetto (ma con il nome di Zefiro anteposto a quello di Flora: Zéphire et Fora) fu messo in scena dai Ballets Russes di Diaghilev nel 1925. Zefiro, vento delicato e leggero, scende dal cielo e chiede a Cupido di scoccare un dardo in direzione della sua amata Flora. Ma, incostante come è proprio di tutti i venti, si innamora della bella ninfa Cleonice. Cleonice non prende sul serio il sentimento di Zefiro e, per scherzo, traccia le figure di loro due sui muri di un tempio. Zefiro è avvisato da Cupido dell'arrivo di Flora e, innamorato incostante, non esita a raggiungerla mentre Cleonice si dilegua nell'aria tra un volo di amorini e di spiriti.
    Quando Didelot fece danzare questo balletto in Russia all'allora famosa ballerina Avdotja Ilinicna Istomina, il celebre poeta Puskin la volle immortalare nel primo capitolo del suo poema Eugenij Onegin esaltando le doti che aveva dimostrato in Flore et Zéphire, il virtuosismo nei passi più brillanti, il magnifico aplomb, l'élévation e le pirouettes:

    «Splendida, quasi evanescente
    Al magico archetto ubbidiente
    Da uno stuolo di ninfe attorniata
    La Istòmina si è presentata
    Con un piede toccando il suolo
    Lento in cerchio portando l'altro
    Ecco che vola nel suo salto
    Come piuma al sogffio d'Eòlo
    Ora si flette, ora s'addrizza
    Sulle sue belle gambe guizza»

    Purtroppo la Istomina (nata a Pietroburgo nel 1799) ebbe vita artistica assai breve poiché dovette ritirarsi dalle scene per una lesione al piede nel 1836. Anche la sua fine fu drammatica: morì infatti di colera.


    Il Balletto Romantico: La Sylphide e la nascita delle scarpette da punta.

    Il balletto romantico ebbe inizio intorno al 1830 in un'epoca in cui la tecnica della danza si era ormai consolidata ed era giunta al perfezionamento del suo stile. Una delle principali caratteristiche del balletto romantico fu quello di adeguarsi alla sua epoca: il Romanticismo era nell’aria, nella letteratura, nelle arti, nel sentimento; normale quindi che la danza ne assimilasse l’essenza più evanescente. Era finito il tempo del minuetto, adesso impazzava il valzer, la cui apparizione avveniva verso la fine del '700. Non più dunque ballerini che si tenevano per mano a debita distanza ma una danza che impegnava e coinvolgeva la coppia unita e sognante. I soggetti dei balletti abbandonarono gli argomenti classico-mitologici per ispirarsi alla letteratura ed ai racconti di carattere romantico dell'epoca. La ballerina diventò il simbolo della donna immateriale e, mentre le scarpette da punta la resero aerea dando la sensazione del sollevarsi da terra di un corpo senza pesantezza, la vaporosità del tutu bianco la fecero sembrare evanescente e soprannaturale come uno spirito. Le storie dei balletti erano incentrati sul dramma degli amori infelici, dell’impossibile raggiungimento di una gioia intensa perché breve, così prossima all’eterna malinconia dell’uomo che fu peculiare del Romanticismo.

    L’applicazione in sede coreografica di questa essenza romantica la si avrà con il balletto La Sylphide, tratto dalla novella Trilby di Charles Nodier, su libretto di Adolphe Nourrit e musica di Jean Schneitzhoeffer. Questo balletto, che andò in scena all'Opéra di Parigi il 12 marzo 1832, è legato al nome di una grande ballerina: Maria Taglioni, per la quale il padre Filippo compose la coreografia che trasformò esteticamente il concetto di danzatrice anche grazie, al soggetto del balletto, al tutù creato da Eugéne Lamy e le scarpette da punta calzate da Maria.

    Il balletto sulle punte aveva cominciato a svilupparsi già all’inizio dell’Ottocento; nel 1823 la danzatrice italiana Amalia Brugnoli aveva iniziato ad andare sulle punte, per lo più per due o tre passaggi, nel balletto La feé et le chevalier (coreografia di Augusto Vestris), ma forse la prima testimonianza di una ballerina sulle punte è una litografia di Fanny Bias en pointe del 1821, ben undici anni prima de La Sylphide. Le punte non erano solo un altro traguardo di virtuosismo come l’entrechat quatre. Era un mezzo apposito per rafforzare il ruolo femminile nel balletto. Nonostante ci fossero bravi ballerini come Jules Perrot (1810 - 1892) e Arthur Saint-Léon (1815/21 - 1870), questi erano eclissati dalle grandi ballerine: la Taglioni, Fanny Elssler, Carlotta Grisi, Fanny Cerrito (1817 - 1909), e le statunitensi Augusta Maywood (1825 - 1876) e Mary Ann Lee. Il ballerino funzionava come partner per sostenere la ballerina, punto focale della danza e del dramma.


    LA SYLPHIDE

    Balletto in due atti. Coreografia di Filippo Taglioni. Musica di Jean Schneitzhoeffer. Libretto di Adolphe Nourrit. Scene di Pierre Ciceri. Costumi di Eugène Lami. Parigi, Opéra, 12 marzo 1832. Interpreti: Maria Taglioni (la Silfide), Joseph Mazilier (James), Lise Noblet (Effie), M.me Elie (Magde) M. Elie (Gurn).

    L'ARGOMENTO.
    La vicenda è ambientata in un villaggio scozzese e nel bosco vicino.
    Primo atto. James attende addormentato su una poltrona vicino al caminetto l'alba del giorno che vedrà le sue nozze con Effie. Sorge presso di lui uno spirito alato, una Silfide, che lo contempla amorevolmente e lo desta alfine con un bacio. James tenta di afferrare la visione che da tempo turba i suoi sogni, ma la Silfide sparisce danzando. Giungono Effie, sua madre e i vicini per i preparativi delle nozze; con loro è Gurn, innamorato deluso di Effie. Una vecchia fattucchiera, Magde, scacciata in malo modo da James e confortata da Effie e Gurn, predice che la fanciulla, non amata dal suo fidanzato, sposerà invece Gurn. Rimasto solo, James rivede la Silfide che, pur sfuggendogli, confessa il suo amore per lui e lo invita a seguirla; Gurn vede la scena e corre a chiamare Effie perché assista al tradimento, ma James nasconde l'immateriale creatura col suo mantello, sulla poltrona, e quando Gurn leva il mantello la poltrona appare vuota. Durante la festa e le danze che seguono, la Silfide si aggira visibile soltanto a James che invano la insegue, e infine gli strappa di mano l'anello destinato alla fidanzata, fuggendo verso la foresta. James si sottrae alla festa, lasciando Effie in pianto; Gurn guida gli ospiti, costernati, alla ricerca del promesso sposo scomparso.
    Secondo atto. La strega Magde e il suo seguito demoniaco lavorano in un antro notturno attorno a un calderone, nel quale tuffano una sciarpa vaporosa. La scena è ora un fitto bosco, nel quale trasvolano leggere le silfidi; entra James inseguendo la Silfide, che ormai ama dimentico di sé, anche se ella continuamente gli sfugge, pur mostrandogli tenerezza. Nel frattempo Gurn, Effie e gli altri hanno desistito dalle inutili ricerche. Torna James, ancora deluso, e la strega gli appare per donargli una sciarpa con la quale potrà trattenere la Silfide. Egli infatti attrae l'amata, e con un inganno la cinge con la sciarpa magica; subito le ali della Silfide cadono, ed ella perde la vita tra le braccia del giovane, disperato. Un corteo di silfidi scende a raccogliere la sorella morta, portandola via a volo tra gli alberi. James, sconvolto, cade al suolo, mentre da lontano si intravede la festa nuziale di Effie e Gurn. La strega Magde esulta della vendetta compiuta.

    CRITICA. Il romanticismo coreografico, già preannunciatosi nei suoi elementi tematici estilistici in gran parte del balletto, soprattutto francese, del secondo e del terzo decennio dell'Ottocento, trovò la sua prima compiuta espressione nella Sylphide di Filippo Taglioni, il suo ideale nella figura protagonista di questo balletto, e la perfetta incarnazione di tale ideale nella prima interprete di esso, Maria Taglioni, il cui mito personale avrebbe portato sempre le vesti della Silfide. Il libretto, suggerito al Taglioni dal tenore Adolphe Nourrit, era ispirato, seppur con notevoli modifiche, al romanzo Trilby ou le Lutin d'Arguail scritto nel 1822 da Charles-Emnianuel Nodier e ricco di suggestioni teatrali squisitamente romantiche, centrate sull'amore impossibile e fatale tra un essere umano e una creatura soprannaturale. Nel balletto del Taglioni il tema doveva ricevere ulteriori sottili sfumature psicologiche e poetiche nel delicato e sentimentalmente ambiguo personaggio di James, oscillante tra la normalità dell'affetto per Effie e il vagheggiamento di un amore incantato, l'inseguimento di un sogno fatalmente attraente e sfuggente, destinato a un tragico dissolversi dinanzi all'assurda pretesa di reale possesso. Se la sostanza drammaturgica del balletto si risolve nella vicenda interiore di James, protagonista indiscutibile sul piano coreografico e quindi dal punto di vista del quid artistico del balletto in quanto tale resta tuttavia la Silfide, la ballerina, pura immagine del romantico ideale del femminino e depositaria esclusiva della scoperta tecnico-stilistica che caratterizza il romanticismo coreografico: la "punta". Maria Taglioni, seppur non fosse la prima ad adottare questo geniale mezzo d'astrazione rappresentativa, ne stabilì definitivamente proprio nella Silfide l'uso e il senso. Bene scrive Alberto Testa: «la Taglioni trovò nella "punta" la sua ragione e
    sublimazione. Altre, forse più brave di lei tecnicamente, la impiegarono con risultati di arditezza virtuosistica, ma pare che con la Taglioni divenisse un mezzo di espressionetramite il quale tutto il personaggio si delineava e modellava. Gli aplombs straordinari di cui parlano i critici e le cronache dell'epoca sono veramente tante punteggiature sospesenello spazio del disegno della coreografia, tante sospensioni evanescenti di una creatura fragile. Quindi quella fragile aderenza al terreno sulla sola punta di un piede in una arabesque dalla quale si potrebbero tendere fili infiniti, altrettanto evanescenti, era l'esatta misura del personaggio, di un sentimento, di una situazione» (Discorso sulla danza e sul balletto). Per quanto riguarda l'uso del corpo di ballo il secondo atto della Sylphide, popolato di creature femminili irreali avvolte in lunari tutu, offre il prototipo del ballet blanc, forma coreografica destinata a importanti sviluppi fin quasi al nostro tempo, anche se i macchinismi qui ancora impiegati per il volo delle silfidi appartengono a un gusto teatrale storicamente esaurito. Il tutu romantico in mussola chiara semitrasparente lungo fin poco sotto le ginocchia, ideato dal Lami per la Sylphide, sarebbe invece divenuto un elemento spesso ricorrente nel costume del teatro di danza, cosi come i bandeaux dell'acconciaturadella Taglioni. Questo capolavoro di Filippo Taglioni fu ripreso piu volte dallo stessoautore, sempre per la figlia Maria - al Covent Garden Theatre di Londra il 26 luglio 1832, al Konigliche Theater di Berlino lo stesso anno, al Teatro Bolscioi di S. Pietroburgo il 6 settembre 1837, alla Scala di Milano il 29 maggio 1841 - fu riprodotto da Paolo Taglioni al New York Park Theatre il 22 maggio 1839, ma fu poi abbandonato dal 1860 (Opéra) fino ai nostri tempi, che hanno visto un paio di tentativi di ricostruzione filologica. La Sylphide che è stata tramandata a noi senza soluzione di continuità è infatti un'altra:quella creata, da August Bournonville al Teatro Reale di Copenaghen nel 1836 e da allora rimasta nel repertorio del Kongelige Danske Ballet. Bournonville, che aveva veduto il balletto del Taglioni a Parigi due anni prima, lo ricreò nel principale teatro danese, dove era maÎtre de ballet e primo ballerino, sulla base dello stesso libretto (anche se su musica di Herman Lövenskjold anziché di Schneitzhoeffer) ma modellandolo sul proprio stile coreografico fatto di cristallina trasparenza compositiva, di nobiltà espressiva, di eleganza e di assoluta perfezione tecnica nella levigatura di ogni passo e di ogni figurazione. Entrato, in diverse ricostruzioni coreografiche, nel repertorio delle maggiori compagnie di balletto del mondo, e interpretato dalle piu celebri ballerine del nostro secolo. La Sylphide è oggi un consolidato "classico" del balletto. La Sylphide viene considerato universalmente come il balletto che meglio esprime i concetti e i valori della filosofia Romantica: la figura dell'eroe che sta per soccombere, rinuncia a tutto per cercare la vera felicità, la reale essenza della vita ed evitare le responsabilità. Il mondo è visto come un mondo lirico, soprannaturale, una dimensione parallela alla realtà, dove esistono esseri impalpabili e creature fantastiche, simili a sogni, opposto ad un mondo reale, in cui esistono personaggi come James che aspirano a qualcosa di irreale e sognano un grande amore impossibile. Ed è proprio in una dimensione onirica che la Sylphide si mostra al suo innamorato: quando però il protagonista perde il suo sogno, anche lui è destinato a morire. Da alcuni viene anche definito come il manifesto di una nuova generazione di artisti ribelli: i Romantici. Insoddisfatti della realtà del loro tempo, essi volevano allontanarsi dai valori su cui si poggiava la società moderna, consapevoli dei limiti della ragione e della razionalità, cercavano in un mondo di sogni un rifugio dall'atmosfera della Rivoluzione Industriale che vivevano come oppressiva e anonima. La Sylphide è il prototipo del balletto romantico o ballet blanc per le sue connotazioni estetiche, per la sua natura irreale e fantastica, per l'atmosfera fantastica e intensa da un punto di vista emotivo, per la sua nuova tecnica di danza assolutamente rivoluzionaria, per l'incarnazione degli ideali di bellezza e purezza che emana e che ne hanno fatto un modello, un caposaldo della danza che qui raggiunge lo stesso livello che nel Romanticismo rappresentarono la musica, la letteratura, la poesia.


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    La Sylphide ieri e oggi



    Giselle, 1841: il capolavoro assoluto del balletto romantico

    Che Parigi avesse ripreso in mano le redini del balletto, anche durante la restaurazione, non sorprende: esistevano antiche strutture, e la cultura, malgrado tutto, era più libera che altrove. Gli italiani, che erano grandi teorici vi si insediarono con le loro grandi stelle e con il loro ingegno: essi avevano, del resto, anche il dominio del teatro lirico, con Rossini e, successivamente, con Bellini e Donizetti. Era fatale che producessero anche grandi artisti. Filippo Taglioni produsse nel 1836 all'Opera La fille du Danube, poi portò nel 1830 Maria a danzare La gitana a Pietroburgo, aprendo la via russa e imperiale alla grandezza di Petipa. L'anno dopo, sempre nella capitale russa, con l'Ombre Taglioni affidò a Maria una parte di incredibile leggerezza, esaltata nel famoso pas de fleurs.
    Dopo questi grandi successi, la Taglioni diventò una figura leggendaria nel mondo del balletto e fu considerata come la migliore ballerina di allora, sebbene ella si trovasse spesso a doversi confrontare con colei che sarà considerata in futuro la rivale di sempre, Fanny Elssler, ballerina assai sensuale e sanguigna. La Taglioni, ballerina d'aria, esaltava i poeti e gli scrittori, come de Musset e Hugo. Meno innamorato di lei fu invece Théophile Gautier, scrittore francese appassionato di balletto, grande ammiratore di Carlotta Grisi, che ebbe un gran peso nella nascita di Giselle. Assieme al drammaturgo Vernoy de Saint-George e al musicista Adolphe Adam, Gautier puntò su una leggenda popolare resa nota dal poeta tedesco di Heinrich Heine nella sua Germania, quella delle Villi "color neve che danzano senza pietà". Egli visualizzò subito il balletto, il cui libretto verrò pubblicato a Parigi sotto il titolo: "Giselle ou les Willis".
    L'idea fondamentale di Gautier era quella di connettere i due elementi tipici della poetica romantica: l'amore terreno (in un atto realistico) ed il sovrannaturale (in un atto ultraterreno). Il primo risente della cultura operistica romantica, con passione, tradimento e follia; il secondo è romantico nel senso purissimo dell'ultraterreno, dell'ideale femminile ai limiti del non-umano, etereo, quasi volante, staccato dalla terra, lunare e trasparente come un fantasma.
    Coralli e Perrot firmarono la coreografia, e Lucien Petipa, il padre di Marius sostenne il ruolo del principe Albrecht accanto a Carlotta Grisi che il 28 giugno 1841, giorno del suo 22º compleanno, si esibì per la prima volta in "Giselle". Il balletto fu un successo incredibile, tanto che ancora oggi viene considerato il balletto più rappresentativo della tradizione classico-romantica: è la costante di ogni grande compagnia e, forse, il traguardo più ambito di ogni ballerina.



    GISELLE


    Balletto in due atti. Coreografia di Jean Coralli e Jules Perrot. Musica di Adolphe Adam. Libretto di Jules Henri Vernoy de Saint-Georges e Théophile Gautier. Scene di Pierre Ciceri. Costumi di Paul Lormier. Parigi, Opéra, 28 giugno 1841. Interpreti: Carlotta Grisi (Giselle), Lucien Petipa (Albrecht), Adèle Dumilatre (Myrtha), M. Simon (Hilarion).

    L'ARGOMENTO.

    Primo atto. In un villaggio della Renania medievale, il guardiacaccia Hilarion ama Giselle e freme di gelosia nei riguardi di Loys, sotto le cui mentite spoglie di popolano si nasconde il duca Albrecht. Questi compare per incontrarsi con Giselle, nascondendo la spada e allontanando il suo scudiero. La fanciulla esce di casa e accetta il tenero corteggiamento di Albrecht-Loys, che giura di amarla per confortarla del responso negativo di una margherita da lei sfogliata. Hilarion giunge e dichiara a Giselle il suo amore; respinto dalla giovane e scacciato da Albrecht, minaccia vendetta. Si aprono le danze dei contadini per la festa della vendemmia e Giselle vi prende parte con entusiasmo, nonostante l'apprensione della madre che narra come fanciulle morte danzando la vigilia delle nozze siano divenute Villi, bianchi fantasmi vaganti nei boschi al chiaro di luna. Le feste sono interrotte per accogliere il principe di Curlandia e sua figlia Bathilde col loro seguito, di ritorno dalla caccia. Giselle danza per la principessa, che le dona una collana e riparte coi suoi, mentre riprende la festa contadina. All'arrivo di Albrecht, Hilarion lo smaschera mostrando la spada trovata, e richiama col suono del corno i nobili cacciatori e la principessa Bathilde, fidanzata di Albrecht; questi, con finta disinvoltura e incurante di Giselle, offre il braccio a Bathilde giustificandosi come semplicemente desideroso di svago tra le danze campestri.
    Giselle, folgorata nel comprendere l'inganno, cade in stato di follia, vaneggia accennando passi di danza tra la costernazione dei presenti, sinché afferra la spada per trafiggersi e muore fra le braccia della madre, dinanzi ad Albrecht attonito e infine disperato.

    Secondo atto. A mezzanotte, nei pressi della tomba di Giselle, si intravvede Hilarion passare impaurito tra gli alberi circostanti. Appare Myrtha, spettrale regina delle Villi, che con un ramoscello sfiora ogni fiore bianco della foresta evocando cosi la sua corte di femminei fantasmi. Le Villi si apprestano danzando ad accogliere la nuova compagna, Giselle, che appare velata sulla sua tomba e s'inchina alla regina per poi iniziare a sua volta a danzare con esse. All'avvicinarsi di passi umani, le Villi svaniscono; è Albrecht, che dolente viene a spargere gigli sulla tomba della fanciulla troppo tardi amata. A un tratto, gli appare volteggiando la bianca immagine di Giselle, ed egli la segue allucinato tra gli
    alberi. Entra Hilarion ed è subito attorniato dalle Villi, che lo sospingono a morte dopo una danza folle. Al ritorno di Albrecht, Myrtha lo condanna alla stessa sorte di tutti coloro che cadono sotto lo spietato potere delle Villi, ma Giselle lo protegge presso la croce, implorando invano la gelida regina. Condannato a danzare fino allo stremo, Albrecht è però sostenuto con amore disperato da Giselle, finché le prime luci dell'alba impongono allo stuolo spettrale di ritirarsi. Giselle segue infine le compagne nel regno delle ombre, dopo aver rivolto l'amato verso la luce e la vita.

    CRITICA. Capolavoro assoluto del teatro di danza del Romanticismo, di cui riassume in sintesi mirabile tutte le istanze tecniche, stilistiche e drammaturgiche, Giselle costituisce tuttora un caposaldo irrinunciabile del repertorio ballettistico mondiale. La nascita di questo balletto, nel 1841, vide la collaborazione di alcune delle maggiori personalità del teatro coreografico dell'epoca. Ideatore primo ne fu Théophile Gautier, critico, scrittore e poeta che ebbe un ruolo fondamentale nella definizione ideale del balletto romantico francese; letteralmente rapito dall'arte e dalla persona di Carlotta Grisi, egli trovò un'idea teatrale adatta a lei in una leggenda popolare riportata da Heine in Della Germania e ne fece un libretto con l'aiuto di Jules Henri Vernoy de Saint-Georges, drammaturgo di solido mestiere nel campo del teatro musicale. Jean Coralli, coreografo principale dell'Opéra di Parigi, creò la coreografia nell'insieme, consentendo tuttavia a Jules Perrot, compagno della Grisi, di comporre tutte le parti solistiche della protagonista; la collaborazione fu poi in realtà più ampia, anche se soltanto molto piu tardi, grazie a Serge Lifar, Perrot fu riconosciuto come coautore del balletto. La musica fu commissionata ad Adolphe Adam, che compose una partitura intimamente legata alla sostanza tecnico-coreografica e all'essenza espressiva del balletto. Non ultima nel delineare l'ispirazione di Giselle fu la protagonista della prima, Carlotta Grisi, giovane ballerina italiana scoperta da Perrot, nella quale fu subito riconosciuta la nuova grande étoile riassumente in sé le opposte doti artistiche della Taglioni e della Elssler; al suo fianco, nel ruolo di Albrecht, il raffinato e brillante Lucien Petipa consolidò la sua posizione di stella maschile dell'Opéra. Infine la scenografia di Pierre Ciceri, consumato professionista del décor romantico, colse perfettamente col suo "realismo nel fantastico" un certo gusto teatrale dell'epoca. Il precedente più diretto di Giselle è evidentemente La Sylphide di Filippo Taglioni; simile è infatti, seppure in Giselle più articolata e coerente, la costruzione in due piani successivi, esprimenti due aspetti complementari della sensibilità romantica: nel primo atto il piano del reale, pur nella tipica dimensione della favola villereccia medievaleggiante e sentimentale, nel secondo quello del soprannaturale, del mito lunare denso di magico simbolismo. L'argomento costituisce cosi un supporto drammaturgico di elevata ispirazione e di perfetta concisione ed equilibrio strutturale a ciò che nel balletto è essenziale, a ciò che dà compiutezza artistica a quel vago clima sentimentale: la coreografia, la composizione della danza. E la coreografiadi Giselle è la summa del balletto romantico al suo più alto grado di maturità. Lo stile accademico, già ampiamente stabilito e codificato, è rigorosamente rispettato nella purezza di linee e nell'articolato equilibrio della successione dei passi e delle figure, ma non si manifesta mai in mero virtuosismo; è anzi in ogni istante intimamente legato allo svolgersi drammaturgico, al punto da rendere per converso quasi sempre "danzante" anche la pantomima e da risolvere in sé, cioè in danza, ogni momento dell'azione, sciogliendo le forme chiuse e creando un'essenziale continuità fra divertissements, episodi narrativi, drammatici e lirici del balletto. Notevole inoltre, e in certo senso deviante dalla linea del divismo femminile tipica del romanticismo francese, la rivalutazione della danza maschile nel ruolo di Albrecht (ulteriormente sottolineato nel nostro tempo a partire dall'interpretazione di Serge Lifar del 1932). Centrale tuttavia resta il complesso ruolo di Giselle, in cui l'arco espressivo spaziante dal candore giocondo, al velato presentimento, alla tragedia della follia e della morte, fino a una spettrale immaterialità dolente d'amore non estinto, ha un parallelo sul piano tecnico-stilistico, dove alle brillanti variazioni di carattere "terrestre" e alla sobria ma incisiva pantomima danzata nel primo atto fanno seguito lo stile "aereo" e il puro lirismo del romantico ballet blanc nel secondo. Quasi tutte le più grandi ballerine, da Carlotta Grisi in poi, hanno infatti avuto in Giselle uno dei loro piu importanti momenti interpretativi; basti ricordare Lucile Grahn (1843), Fanny Cerrito (1843), Fanny Elssler (1843), Amalia Ferraris (1859), Carolina Rosati (1862), Ekaterina Vazem (1878), Emma Bessone (1887), Olga Préobrajenska (1899), Carlotta Zambelli (1901), Anna Pavlova (1903), Tamara Karsavina (1910), Olga Spessivtzeva (1924), Galina Ulanova (1932), Alicia Markova (1934), Margot Fonteyn (1937), Tamara Toumanova (1939), Yvette Chauviré (1944), Svetlana Beriosova (1956), Carla Fracci (1959), Ekaterina Maximova (1960), Natalia Makarova (1961), Natalia Bessmertnova (1965), Merle Park (1967), Gelsey Kirkland (1975), Elisabetta Terabust (1976). Il balletto è giunto al nostro tempo sulla linea di una tradizione non uniforme ma ininterrotta, attraverso poche tappe ricostruttive che ne hanno purificato e consolidato la sostanza coreografica. All'origine di tale tradizione vi sono le realizzazioni che Jules Perrot, accentuandovi la propria personale impronta creativa, curò a Londra già nel 1842 e a S. Pietroburgo nel 1856; a quest'ultima collaborò Marius Petipa, che fece nel 1884 una propria ricostruzione del balletto sulla quale si basarono le successive in Russia e quella di Fokine del 1910 a Parigi per i Ballets Russes. Infine Nicholas Sergueeff riprodusse con grande cura filologica all'Opéra di Parigi, nel 1924, la versione di Petipa in repertorio al vecchio Teatro Marijnskij di S. Pietroburgo. A questa di Sergueeff si sono rifatte, in modo piu o meno diretto, tutte le innumerevoli successive realizzazioni di Giselle in Europa e in America.



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    Giselle ieri e oggi




    August Bournonville e il Balletto Reale Danese
    In Danimarca il balletto romantico mantenne alti livelli grazie al lavoro di August Bournonville (1805 - 1879) che nel 1834 creò una nuova versione del balletto La Sylphide seguendo lo stesso schema e libretto di quella di Taglioni ma utilizzando la nuova partitura musicale di Hermann Severin von Løvenskjold. Il balletto andò in scena il 28 novembre 1836 a Copenaghen e il ruolo da protagonista fu ricoperto da Lucile Grahn.
    In circa 50 anni di carriera coreografa, Bournonville creò più di cinquanta balletti e molti divertissements la maggior parte dei quali furono influenzati dai suoi lunghi viaggi all’estero ma anche dalla sua profonda cultura. Napoli, per esempio, creato nel 1842 dopo un viaggio in Italia, è considerato un capolavoro ancora in repertorio dove danze di carattere mediterraneo sono unite alla pura tecnica accademica. Contrariamente alla tendenza del balletto romantico dell'epoca, Bournonville non mette in secondo piano la danza maschile ma dà al ballerino la stessa importanza della ballerina. Lo stile Bournonville è rimasto pressoché intatto fino ai giorni nostri ed è considerato il vero discendente dello stile francese dell'Ottocento.

    Un balletto per quattro ballerine
    Nel frattempo Jules Perrot, eccellente ballerino, ebbe un gran successo a Londra, assieme a Fanny Cerrito, nel suo Alma, ou La Fille du Feu mentre andava in scena a Parigi il balletto La Pèri con coreografia di Jean Coralli. Quest’ultimo fu un altro grande exploit della Grisi ma ella non è la sola a dominare il palcoscenico. Danza Esmeralda di Perrot, ma la Cerrito risponde con la Vivandiera di Saint-Léon e la Elssler con Beatrice di Gand di Antonio Cortesi. Il pubblico era diviso, e ciò accendeva rivalità e fanatismi.
    Il ’45 è un anno molto importante: il coreografo Jules Perrot riesce a riunire quattro differenti temperamenti di danzatrici mettendole tutte e quattro nella giusta luce, senza intaccare la suscettibilità di nessuna, componendo un delicatissimo quadretto allo “Her Majesty's Theatre” di Londra con il “Pas de quatre” su musica di Cesare Pugni. Le quattro stelle furono Maria Taglioni, Fanny Cerrito, Carlotta Grisi, Lucile Grahn (nel ’47 venne ripreso dalla Rosati al posto della Grahn). Tutte le scuole erano unite da Perrot in questa apoteosi della danza: una idea che ha tentato in seguito altre ballerine, e basta ricordare che nel 1957, a Nervi, ne furono protagoniste Alicia Markova, Yvette Chauviré, Margrete Schanne e la giovane promessa italiana Carla Fracci.


    PAS DE QUATRE


    Balletto-divertissement. Coreografia di Jules Perrot. Musica di Cesare Pugni. Londra, Her Majesty's Theatre, 12 luglio 1845. Interpreti: Maria Taglioni, Fanny Cerrito, Lucile Grahn e Carlotta Grisi.

    L'ARGOMENTO. Composizione di pura danza, senza soggetto, per quattro "ballerine romantiche" in tutu bianco lungo. Inizia con un gruppo statico delle quattro ballerine, sciolto con reciproci inchini di omaggio. Ognuna esegue poi un pas seul dinanzi alle altre, ferme (alla creazione, nell'ordine: variazione della Grahn, variazione della Grisi, valzer della Cerrito e infine assolo della Taglioni). Infine, tutte danzano un passo a quattro che si conclude con la famosa figurazione, fissata da una nota litografia di A. Chalon, in cui alla ballerina "prima tra le pari" fanno corona le altre tre.

    CRITICA. Maria Taglioni, già mitica all'epoca della creazione londinese del Pas de quatre, venne incoronata di rose bianche dalla collega Cerrito durante l'ovazione del pubblico al termine del breve balletto, che si configura chiaramente come una celebrazione dell'ideale divistico, in senso romantico, della ballerina. L'esibizione delle quattro maggiori
    personalità interpretative dell'epoca (a esclusione di una quinta, Fanny Elssler, rivale notoriamente inconciliabile della Taglioni) fu ideata da Benjamin Lumley, direttore dell'Her Majesty's Theatre, e realizzata da lui e dal coreografo Jules Perrot anzitutto con delicata diplomazia nell'accordare le quattro celebri e suscettibili donne: Maria Taglioni, la leggendaria Sylphide che aveva delineato la figura stessa della ballerina romantica; Carlotta Grisi, la versatile ed espressiva Giselle; Lucile Grahn, raffinata rappresentante del cristallino stile bournonvilliano; infine Fanny Cerrito, idolo del pubblico londinese per il suo fascino personale non meno che per la sua tecnica accademica raggiante. Al di là di tale intento di ostensione delle ballerine, ognuna delle quali aveva una parte tecnicamente e stilisticamente su misura, la coreografia composta da Jules Perrot va riconosciuta come una delle più pure ed essenziali espressioni del romanticismo coreografico, per la maniera fantasiosa e insieme idealmente purificata e stilizzata di impiegare la tecnica accademica di tradizione francese, nei termini ormai codificati e universalizzati, con la fusione delle componenti italiane, nell'opera teorica di Carlo Blasis. Il Pas de quatre, ripreso dallo stesso Perrot nel 1846 alla Scala di Milano (Taglioni, Carolina Rosati, Sofia Fuoco e Carolina Vente) e nel 1847 a Londra (Taglioni, Grisi, Cerrito e Carolina Rosati), è stato riesumato nel nostro secolo a partire dalla versione di Keith Lester del 1936, seguita da altre che hanno impegnato tutte le più celebri ballerine contemporanee.




    (IMG:http://www.mggarofoli.it/storia_danza/stor...s_de_quatre.jpg)



    Il periodo pre-čajkovskijano

    Dopo il 1850 il balletto romantico declina in Europa. Le qualità poetiche erano state sostituite da uno sfoggio di virtuosismi spettacolari, ma inespressivi. Le grandi stelle si erano ormai ritirate e le scene, i costumi, e le coreografie erano stereotipate e noiose. I temi lunari, bianchi, sono ora sopraffatti dall'esotico, dal tipico, dal romanzesco. Mazilier, nel 1856, scatena la sua fantasia all'Opera con un testo avventuroso e virtuosistico, Le Corsaire, un balletto pieno di avvenimenti e di prodigi scenici (fra cui un naufragio). Mentre nella seconda metà dell’Ottocento in Europa il Romanticismo s’inquina degenerando in un’arte non solo appariscente e magniloquente, l’apporto dei maestri francesi ed italiani sarà fondamentale per la formazione della grande tradizione ballettistica russa. La Russia era infatti l’unica nazione a mantenere una posizione gloriosa e di privilegio del balletto. Stiamo arrivando così all’epoca d’oro dei grandi balletti di Ciaikovski, Petipa, delle grandi danzatrici italiane come Carlotta Brianza, Carolina Rosati, Antonietta Dell’Era, Virginia Zucchi, Claudina Cucchi.
    Il successo di questa emigrazione (una vera diaspora verso l'Est) venne consacrato solo nel 1862, quando Marius Petipa allestì al Marijnskij, con la Rosati, La figlia del Faraone, su musica di Cesare Pugni. È una storia di viaggiatori in Egitto, di incantesimi e mummie, di avventure e mitologie: era un grande spettacolo, con quattrocento interpreti, degno di una corte imponente e amante del grandioso. La figlia del Faraone ebbe un successo così strepitoso da far ottenere a Petipa la nomina di «Maltre de ballet» al Marijnskij.
    Ma in Russia lavorò anche Saint-Léon, prima di dar vita alla sua famosa Coppelia. E in Russia Petipa produsse nel 1869 con il musicista Leon Minkus, altro emigrato di lusso, il balletto Don Chisciotte, tuttora in repertorio. Coppelia, l'ultimo successo del balletto francese dell'Ottocento, arriverà l'anno dopo. La guerra franco-prussiana e la scomparsa di una generazione di artisti, nonché l'emigrazione di tanti talenti, spostarono l'ago della bilancia definitivamente altrove. Questo capolavoro, tuttavia, grazie alla bellezza delle parti solistiche e allo splendore delle danze di carattere popolare (mazurche, csardas, bolero e altro), alla delicata qualità della musica di Lèo Delibes e alla piacevolezza della vicenda fu destinato a un duraturo successo, comprovato dalle numerose riedizioni del nostro tempo.


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    La Figlia del Faraone, Le Corsaire, Coppelia e Don Chisciotte (foto: Bolshoi Ballet)



    Il grande ballo italiano di fine Ottocento

    L'Unità d'Italia, con la centralizzazione dei poteri, segnò la fine delle molte felici autonomie locali, un tempo così alta¬mente creative; si spense ovviamente anche lo spirito risorgimentale che aveva nutrito la cultura e il teatro nello spirito nazional-popolare; il positivismo prevalse, e con esso il culto della scienza benefica. Inoltre si avvertì il senso di una novità psicologica, nello stato diventato grande sotto l'egida sabau¬da ma alle prese con problemi politici e sociali estremamente complessi. Il balletto, negli anni che seguirono al 1871, si ispirò a temi grandiosi e accolse la facilità del linguaggio popolare. La figura dominante di quel periodo è quella di Luigi Manzotti creatore del balletto simbolo di quest’epoca: Excelsior. Excelsior va in scena alla Scala nel 1881, scene e costumi di Alfredo Edel, musica di Romualdo Marenco. Si tratta di un «gran ballo» allegorico, dove si confrontano la luce e l'oscurantismo. Con grandi masse, effetti importanti, musiche brillanti e finale ricco di bandiere e di simboli, l’Excelsior parve il modello di un'epoca di lunga pace, un invito alla speranza. È anche vero che con Manzotti e Marenco il balletto italiano esalò l'ultimo respiro, precipitando in un oscurantismo dal quale si risollevò solamente negli anni 50 del nostro secolo.


    EXCELSIOR


    Azione coreografica, storica, allegorica, fantastica in sei parti e undici quadri. Coreografia e libretto di Luigi Manzotti. Musica di Romualdo Marenco. Scene e costumi di Alfredo Edel. Milano, Teatro alla Scala, 11 gennaio 1881. Interpreti: Bice Vergani, Carlo Montanara, Rosina Viale, Carlo Coppi, Angelo Cuccoli.

    L'ARGOMENTO.
    Prima parte. L'Oscurantismo. Nella Spagna dell'Inquisizione il genio delle tenebre tiene in catene una bellissima donna, Luce, Progresso, Civiltà. Ma le maglie della catena si spezzano, la luce trionfa, appaiono le personificazioni del genio umano, e l'Oscurantismo, vinto, impreca a tanto splendore. La Luce. Fra ricchezze e sfolgorii si vedono le antiche grandezze e sono indicate le scoperte dell'oggi, frutto della scienza: il Vapore, il Telegrafo, Suez, il Cenisio. Un'era nuova trionfa. Un felice avvenire illumina l'umanità.
    Seconda parte. Il primo battello a vapore. Un villaggio sul fiume Weser. In una locanda si festeggia un giovane, Valentino, che ha vinto una regata. Egli viene sfidato dal rivale sconfitto. L'Oscurantismo indica ai contendenti l'arrivo di un battello a vapore, guidato dall'inventore Papin. «È prodotto del demonio», dice. I batteIlieri distruggono l'imbarcazione, e Papin muore, ma la Luce addita a tutti la sua gloria. Nuova York. Appare un mare agitato, e un grande piroscafo lo solca. È lo sviluppo della invenzione di Papin; l'Oscurantismo cade soggiogato.
    Terza parte. L'elettricità. Siamo nel laboratorio di Alessandro Volta a Corno. Egli sta pensoso accanto alla sua pila. II genio delle tenebre lo contrasta, la Luce lo protegge. Infine una scintilla scocca, è la vittoria. Washington. L'Oscurantismo si trova, abbagliato, nella piazza del Telegrafo. Una folla di fattorini esce, guidata dalla civiltà. II malefico essere fugge imprecando.
    Quarta parte. Il simun. Una carovana va nel deserto, ma viene investita da un terribile simun, il vento sabbioso. I poveri viaggiatori vengono derubati dai predoni, e si preparano a morire nella oscurità. II genio del male gioisce, ma la Luce indica una nuova via, all'orizzonte, Il canale di Suez. In luogo del deserto c'è un largo canale, e IsmaiIia, dove tutta la civiltà europea è riunita, affratellata dalla scienza. Vi sono navi, tende, gente di ogni razza che balla in letizia.
    Quinta parte. L'ultima mina. Sta per concludersi la gigantesca opera del traforo del Cenisio, dove il Male cerca una occasione di rivincita. Si pone l'ultima mina che farà cadere la roccia e unirà Italia e Francia. In un clima d'angoscia, si attende l'evento. E finalmente la parete cade e ingegneri e operai dei due paesi si abbracciano. Ora l'Oscurantismo è finito, la Luce lo condanna a vedere i popoli fraternamente uniti in una gioia universale. La terra si spalanca e lo spirito tenebroso sprofonda.
    Sesta parte. È l'apoteosi del genio umano. Tutti danzano in gloria del presente, e nell'idea di una maggiore gloria in avvenire. Scienza, progresso, fratellanza, amore.

    CRITICA. Il ballo Excelsior, che ebbe ben 103 recite nell'anno 1881, fu uno dei massimi trionfi del balletto italiano. Era un ballo grande, affollatissimo, colorato e ricco di facili fermenti popolari. Con la sua fiducia illimitata nel progresso scientifico, esso interpretava l'ottimismo delle nuove classi che vedevano nell'industria e nelle scoperte il modo di riscattare l'umanità dai suoi antichi mali. In piu c'era un senso positivistico di fratellanza e internazionalismo, e nella contrapposizione fra luce e tenebre si indicava una moralità nuova, nutrita di speranza. Balletto niente affatto romantico, e certamente laico, Excelsior è il prodotto perfetto della grande illusione riformistica, e un monumento all'intelligenza dell'uomo che finalmente riesce a piegare le forze naturali ai suoi voleri. D'altra parte, in quegli anni, le scoperte della scienza potevano ben essere prese come dei veri e propri miracoli, destinati a mutare il corso delle cose. Manzotti e Marenco, attenti a questi fenomeni, scatenarono la loro fantasia in una grande parata di effetti e di prodigi. È dunque Excelsior uno spettacolo legato a un'epoca, cui si può certo rimproverare una certa ingenuità, ma che sarebbe ingiusto non considerare come un documento importante della cultura italiana fine Ottocento. È anche espressione di un gusto non raffinato, e specchio di una certa decadenza sul piano coreografico; ma il suo impatto sulla folla fu e resta eccezionale, come dimostrano le recenti riprese avvenute dopo lunghi anni di oblio. La musica di Marenco è schietta e ballabile, talvolta ispirata a danze popolari come la famosa mazurca del Weser, diventata famosa nella versione Bella se vuoi venire sull'omnibus. Excelsior è un piccolo prodigio di fusione fra vari motivi di spettacolo; coreograficamente Manzotti combinò la tradizione ottocentesca con elementi dinamici moderni assai vivaci. Possiamo definirlo come un agile elefante, molto adornato molto cinematografico (anche se il cinema non c'era).
     
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  2. mërkulova`
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    Il trittico immortale
    Nel corso degli ultimi tre decenni dell’Ottocento si assiste in Russia ad una straordinaria stagione di spettacoli di danza. Gli altissimi risultati raggiunti dall’arte coreografica in questo periodo sono principalmente merito del coreografo francese Marius Petipa, che tuttavia niente avrebbe potuto se non avesse avuto a disposizione la grande compagnia di balletto del teatro Mariinsky di San Pietroburgo – proprietà dello Zar – e le sue enormi risorse economiche. La Bella addormentata, del 1890, è tra le quasi cinquanta coreografie realizzate da Petipa il suo capolavoro assoluto, risultato cui l’artista giunse dopo quasi trent’anni dedicati a mettere a punto la propria formula. Il tipico balletto di Petipa è uno spettacolo brillante, ricolmo di invenzioni fantasiose, dove ciascun genere di danza teatrale allora conosciuto poteva essere utilizzato. I movimenti altamente stilizzati della danza accademica erano riservati ai protagonisti della vicenda, sovente nobili, o alle creature fiabesche, mentre i movimenti di tutti i personaggi secondari erano tratti da danze popolari come la mazurka o la czarda. Caratteristica di Marius era il grande balletto in molti atti che occupava l’intera serata con la sequenza delle variazioni nel “pas de deux”, variazioni condotte abilmente sul filo di una sapiente costruzione tematica: variazione, variazione, coda. Esse sono ancora oggi di una bellezza e di una perfezione compositiva difficilmente superabili. Nonostante il passare degli anni, il pubblico non ha mai cessato di accogliere con entusiasmo ogni messa in scena dei più famosi balletti di Petipa: Bella addormentata, Il Lago dei cigni (1895), Lo Schiaccianoci (1892). Dei tre balletti non si saprebbe a quale dare la palma; se Lo Schiaccianoci è più importante sul piano del valore musicale e La bella addormentata riccamente si adagia sul fiabesco-spettacolare, il “lago” li supera per la straripante, calda vena romantico-crepuscolare, per la poesia del tema d’amore e anche della rinuncia, per il perfetto bilanciarsi fra la parte lirica del secondo e quarto atto, più congeniale al fidato collaboratore di Petipa, Lev Ivanov, e quella fortemente drammatica e mossa nel dispiego dei gruppi di Petipa.
    L’eccezionale longevità di questi capolavori è in parte dovuta alla loro bellissima musica, scritta dall’emergente compositore Pyotr Ilyich Tchaikovsky. Fino ad allora le musiche per balletti erano tradizionalmente commissionate a compositori poco noti e perciò disposti a confezionare una partitura su misura per lo spettacolo. Tchaikovsky mantenne invece una certa indipendenza riuscendo a scrivere musica di grande qualità, piacevole, ma non banale. Con Petipa il balletto romantico toccò le sue più alte vette e chiuse il suo ciclo: la situazione della danza sullo scenario internazionale stava rapidamente mutando sotto la spinta di una generale volontà di rinnovamento diretta ad incrinare l'autorità di una tradizione che appare ormai inadatta ad incarnare lo spirito dei tempi moderni. In Russia sarà proprio un allievo di Petipa, Michail Fokine, a farsi portatore delle istanze di riforma e a sostenere l'esigenza di ricondurre il balletto ad un'unità artistica di concezione che risulti dalla fusione di musica, pittura, linguaggio plastico.


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    CREDITS AL MAGISTRALE TRATTATO DI C H I A R A di http://danzaworld.forumcommunity.net/
     
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    wow! Magnifico post!
     
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  4. sofiapassion
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    mamma mia! bellissimo ho dato una lettura veloce ma è pieno zeppo d'informazioni! Brava!
     
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  5. mërkulova`
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    grazie mille ma i meriti di chiara,lei ha messo insieme tutte queste informazioni,che sono la base di ciò che una ballerina deve sapere :)
     
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4 replies since 24/4/2013, 14:09   1822 views
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